L'anima del commercio o il commercio dell'anima? Proposte per un marketing cristiano


Sergio Slavazza
Tredimensioni 2(2005)2, 159-169

 

La fonte della comunicazione religiosa

La comunicazione della Chiesa (ma si potrebbe dire la bontà stessa di tutta la comunicazione umana) ha il suo fondamento e la sua causa prima nel mistero di Dio che è comunione e comunicazione. Dio infatti è una comunità di Persone (Padre, Figlio e Spirito Santo) e la sua vita, per quanto ci è dato conoscerla su questa terra, è un profondo e inesauribile comunicare tra le Persone divine. Da questa eterna e infinita relazione d’amore scaturisce l’autocomunicazione di Dio che giunge a creare lo stesso destinatario privilegiato del suo messaggio/amore: l’uomo.

La rivelazione divina però non è immediata e totale: un eccesso di comunicazione annienta il ricevente e annulla la sua risposta. Essa è graduale, rispettosa, prudente, dialettica, personale; fatta di manifestazioni e di nascondimenti; e inoltre è progressiva e storica.

In particolare si possono elencare in sei le tappe dell’autocomunicazione divina.

1. La creazione dell’universo; Dio non ha creato il mondo per aumentare la propria beatitudine ma per manifestarla e comunicarla.

2. Dalla relazione trinitaria nasce l’uomo che è relazione: Dio crea l’uomo a sua immagine come coppia, come rapporto dialogico. Quindi, la comunicazione non è per l’uomo un’attività facoltativa ma è la condizione e il modo d’essere della sua esistenza, anche se la comunicazione umana è imperfetta e non potrà mai trasmettere tutto in maniera compiuta. L’uomo non potrà mai giungere a una conoscenza completa del soggetto con cui si relaziona, né tanto meno del mistero divino: rimarrà sempre una riserva misteriosa, una soglia che non è possibile né utile varcare.

3. La dimensione religiosa: l’apertura verso l’Assoluto, insita in ogni uomo, è la terza via per la quale Dio cerca l’uomo e lo chiama. La religione rappresenta la risposta adeguata alla chiamata del Creatore; è dialogo realizzato.

4. L’Alleanza col popolo biblico costituisce il fondamentale evento comunicativo storico, libero e gratuito, col quale Dio decide di comunicarsi all’uomo.

5. La Rivelazione definitiva di Dio agli uomini si compie con l’incarnazione del Figlio (Verbo, Parola del Padre), che è il culmine dell’autocomunicarsi divino nella storia. Tale manifestazione racchiude tre importanti implicazioni in chiave di comunicazione religiosa:

• Gesù Cristo, il Logos di Dio incarnato, rappresenta il comunicatore perfetto sia a livello ontologico che operativo, e si offre come modello di comunicazione;

• Dio, per rivelarsi agli uomini, sceglie la via della mediazione; parla loro in parole umane;

• l’uomo, per giungere alla conoscenza di Dio, può e deve utilizzare tutte le mediazioni che Dio stesso ha già tracciato, e che con la sua rivelazione incarnata ha reso atte a comunicare la salvezza.

6. Nel giorno di Pentecoste anche la terza Persona della Trinità si mostra agli uomini, concludendo le tappe dell’autorivelazione di Dio. Con la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli si inaugura il tempo della Chiesa.


Un dilemma comunicativo

L’evangelizzazione è legata intimamente alla vita della Chiesa, almeno in un triplice senso: la Chiesa nasce direttamente dall’azione evangelizzatrice di Cristo; nata dalla missione, essa è a sua volta inviata; evangelizzando, evangelizza in primo luogo se stessa. Non può fare a meno di evangelizzare perché questa sua missione la trasforma in continuazione, la rinvigorisce, le conferisce la sua identità originale.

Negli ultimi anni l’avvento della comunicazione mediale sta cambiando le coordinate della presenza della Chiesa nella società. Il porsi in questo nuovo e caotico spazio pubblico diviene sempre più motivo di sconcerto e di disagio per la Chiesa, che si trova di fronte a un dilemma comunicativo: ottenere ascolto ma snaturare il proprio messaggio evangelico, oppure conservare la propria originalità e specificità ma essere inascoltata. Tale problema può essere risolto se la Chiesa saprà rinnovarsi nei metodi rimanendo fedele ai contenuti del suo messaggio.
 


Il marketing cattolico: tentazione o profezia?

In ambito economico sono nate teorie, metodologie e tecniche atte a instaurare la comunicazione tra azienda e mercato, e a favorire la vendita di beni. Si è così sviluppato il marketing aziendale partendo dai prodotti di largo consumo, fino ad arrivare ai servizi più sofisticati in campo turistico, finanziario, politico e anche sociale e non profit. L’evoluzione degli ambiti di applicazione del marketing non è avvenuta in modo asettico, ma ha comportato una vera e propria evoluzione del suo stesso concetto che, da semplice funzione-vendite di un’azienda, si è evoluto fino a divenire una strategia manageriale comprendente la progettazione, l’implementazione e il controllo di programmi atti a influenzare l’accettazione di idee e valori sociali, miranti al soddisfacimento del cliente e al benessere di lungo periodo dei membri della collettività.

Qui si propone la nascita di un vero e proprio marketing cattolico, inteso come una nuova branca di studi e un nuovo campo di applicazione degli strumenti e delle metodologie del marketing cosiddetto non profit (o metamarketing) in campo religioso.

La cosa potrà forse scandalizzare chi teme l’insinuarsi della tentazione satanica di trasformare le pietre in pane e di asservirsi alle logiche del potere e della sopraffazione. Il rischio paventato sarebbe quello di ricercare nuove tecniche per un maggior successo sociale, contraddicendo quelle che sono le modalità di presenza e i criteri valoriali esigiti dal Vangelo e scelti da sempre nella tradizione della Chiesa: la povertà e non la ricchezza, la debolezza e non la forza, la testimonianza e non l’apparenza.

Altri potranno invece leggere in questa proposta una scelta profetica dettata dallo Spirito che sempre opera tra gli uomini. Come afferma André Joos, la relazione di trascendenza, la fede, è un’esperienza non circoscritta che può essere ancorata in qualsiasi rete espressiva umana. In altre parole si potrebbe dire che esiste una non-specificità e una non-univocità del linguaggio cristiano, il quale non è mai impermeabile di fronte alla realtà dell’esperienza umana, ma si apre alla possibilità di un riferimento a tutti i linguaggi.

Probabilmente però il marketing cattolico non né una pericolosa tentazione, né una scelta profetica. Il confronto tra marketing e Chiesa fa parte dell’analisi della realtà. Si suggerisce pertanto una convinta (seppure attenta) applicazione del marketing allo scopo evangelizzatore del Cristianesimo, nella doppia convinzione che solo nell’uso si fa lo strumento e che benché il marketing possa aiutare la Chiesa, in ogni caso non potrà sostituirsi alla forza attrattiva e comunicativa del suo Vangelo.

La sfida che viene lanciata agli operatori di marketing ed agli uomini di Chiesa, è quella di: accettare con curiosità l’applicazione del marketing all’evangelizzazione; sperimentare le reazioni di un simile rapporto; stressare lo strumento utilizzandolo in un campo che non è il suo specifico; valutare a posteriori i risultati di questa reciproca contaminazione.


L’evangelizzazione e l’applicazione delle leve di marketing

In economia i concetti di prodotto, prezzo, distribuzione e comunicazione, (le cosiddette quattro P dalle iniziali dei loro nomi inglesi: product, price, place, promotion) rappresentano degli strumenti che l’azienda può direttamente controllare per costruire le proprie relazioni con i mercati-obiettivo (target). La combinazione di queste leve costituisce il cosiddetto marketing mix.

Quale può essere il marketing mix della Chiesa, considerando il fatto che essa possiede già una quinta leva efficacissima (lo Spirito Santo), che è sempre all’opera tra gli uomini prima ancora che le strategie, le opere, le parole, il marketing li possano raggiungere? Forse lo Spirito (che nella lingua greca è il Pneuma) potrebbe, per così dire, diventare la quinta P delle leve del marketing cattolico.


Il miglior prodotto, il peggior marketing?

Innanzitutto si potrebbe dire che il prodotto della Chiesa è unico ma con due valenze: una metafisica e l’altra esistenziale; una verticale (che riguarda il rapporto tra Dio e l’uomo) e l’altra orizzontale (che interessa i legami tra gli uomini); una intangibile e una tangibile; una spirituale e una materiale, ove il livello esistenziale del prodotto cristiano non è altro che l’incarnazione della sua metafisicità.

Il prodotto metafisico della Chiesa è il fulcro della sua missione: l’annuncio del Vangelo e del Regno. Ma cos’è il Regno di Dio e il suo progetto di salvezza se non Cristo stesso? Dunque il prodotto principale della Chiesa è la stessa persona di Cristo, Figlio di Dio incarnato: essendo la Buona Novella, in Cristo c’è identità tra messaggio e messaggero, tra il dire, l’agire e l’essere. 
Può sicuramente sembrare poco opportuno, se non addirittura blasfemo, assimilare Dio a un prodotto. Ma ciò non lo è né vorrebbe esserlo. In primo luogo perché nel fare questo mai si giunge a ridurre al rango di prodotto una persona, né tanto meno quella divina, secondariamente perché questo ardito accostamento è direttamente funzionale al tentativo di scoprire reciproci arricchimenti dall’intersezione tra marketing e Chiesa Cattolica. Dire che il Cristo crocifisso, morto e risorto è l’oggetto e nel contempo il soggetto dell’annuncio, permette di comprendere tutta l’offerta cristiana in chiave di comunicazione e di sgombrare il campo da quelle opposizioni basate sulla convinzione che siccome il prodotto cristiano è il migliore in assoluto (il Figlio di Dio) non ha bisogno di alcun aiuto alla sua proclamazione.

Il prodotto esistenziale del cattolicesimo è ciò che Giorgio Fiorentini chiama servizi di fede, cioè «...tutte quelle attività che traducono operativamente i principi di fede in logica di servizio, rispondendo alla domanda della comunità». 
Questo livello dell’offerta cristiana concerne tutti i segni della realtà di servizio, coerenti con i principi di fede rappresentati dal livello metafisico, che l’istituzione religiosa offre per soddisfare le varie concretizzazioni del bisogno di fede dei fedeli: coerenza delle attività di servizio offerte con i principi religiosi professati; capacità di presa in carico di problemi sociali, assistenziali, etici (sostegno dei poveri, aiuti al Sud del mondo, difesa dei diritti umani, cura degli ammalati, assistenza agli immigrati, servizi di svago, attenzione alle varie forme di emarginazione e devianza...); accessibilità spazio-temporale dei servizi erogati; storicità dei servizi offerti; espressività dei riti religiosi in sintonia con le legittime aspettative di condivisione, soddisfazione ed efficacia comunicativa avanzate dai fedeli; adeguatezza quantitativa e soprattutto qualitativa di quello che si potrebbe definire il personale dell’istituzione religiosa (sacerdoti, religiosi, catechisti, animatori, consulenti professionali, tecnici sportivi e volontari in genere). 
L’offerta di questi e altri servizi di fede rappresenta l’integrazione del credo religioso negli elementi che compongono la sfera esistenziale del rapporto Chiesa-fedeli. In pratica essi rappresentano la manifestazione tangibile e l’esplicitazione a posteriori di valori che sono impliciti e preesistenti. 
Creare un marketing ecclesiale per esaltare l’espressione della fede che si attua tramite l’offerta di adeguate attività di servizio, non significa tradire lo spirito della religione e dei suoi valori supremi, ma stabilire un rapporto con il prossimo che non è solo di tipo teorico e intellettuale, ma anche reale e operativo.
Conoscere i bisogni della clientela che usufruisce di questi servizi, se si vuole, para-religiosi (ma come si è visto religiosi a tutti gli effetti in quanto saldamente ancorati in quel prodotto metafisico, che è il Vangelo, da cui prendono vita e senso); analizzare il tipo di domanda cui ci si trova di fronte (calante, insoddisfatta, latente...); verificare gli aspetti tridimensionali della propria attività di servizio (in termini di benefici attesi dai fedeli, segmentazione della domanda e modalità di offerta); adottare i modi appropriati di comunicazione; formulare le proposte in termini di aspettative dei pubblici di riferimento... non significa entrare nella logica della commercializzazione del proprio credo religioso, ma è il modo per rimanere fedeli al proprio mandato evangelizzatore e nel contempo per essere coerenti con l’uomo concreto che ci si trova di fronte e che chiede di essere liberato in tutti i sensi.
Tutto ciò può rappresentare un modo di trafficare i talenti che la Chiesa ha ricevuto da Dio e che la storia le offre come segni dei tempi.


Quale prezzo per l’offerta cristiana?

Non è agevole parlare di prezzo per un prodotto che è gratuito per sua natura eppure anche nel caso del prodotto cattolico è possibile identificare un prezzo o, meglio, un costo, che ha tre ragioni di essere:

1. La libertà, che contraddistingue lo scambio religioso e ogni scambio in genere; la volontarietà infatti è il carattere costituente di ogni negoziazione, senza la quale non ci sarebbe scambio bensì imposizione o sottrazione.

2. Il significato comunitario di carità evangelica, caratterizzata anche dalla concretezza e dalla solidarietà.

3. La liturgia. In questa prospettiva il corrispettivo richiesto ai fedeli trae fondamento dalla presentazione dei doni che fa parte della liturgia eucaristica. Tale rito oltre a preparare i segni del pane e del vino attraverso i quali Cristo attualizza l’offerta di se stesso, comprende anche le elemosine (in denaro o in altri beni) destinate al sostegno dei più poveri, come segno tangibile della carità fraterna.

Pertanto nel caso della Chiesa, a fronte dell’offerta di un prodotto prettamente metafisico ma che ha pure delle traduzioni in termini esistenziali e di servizi di fede, vi è un corrispettivo, che può essere economico o non economico, pagato (o meglio donato liberamente e spontaneamente) da parte del fedele o di chi usufruisce dei servizi messi a disposizione.

Il corrispettivo economico può essere: implicito, quando trova fondamento in quelle che si sono definite motivazioni liturgiche, collegate al rapporto di fede: un segno materiale per una causa immateriale; esplicito, quando è l’espressione dell’adesione del fedele all’istituzione religiosa e della sua compartecipazione economica all’attività della stessa: offerte per la celebrazione di atti di culto e per lo svolgimento di cerimonie religiose, contributo per i servizi goduti, offerte libere, offerte deducibili dall’IRPEF, otto per mille e altro.

Il corrispettivo non economico può essere definito in termini di «”prezzo” psicologico, sensoriale, spirituale da sostenere per aderire o mantenere un rapporto di fedeltà a una istituzione religiosa rispetto ai benefici di ritorno: in primo luogo il costo nella sfera della morale personale in termini di prescrizioni, divieti, obblighi..., che sarebbe alla base di tante defezioni tra i membri della Chiesa; secondariamente il dovere e tutto ciò che rappresenta la sua realizzazione e il suo soddisfacimento; infine il coraggio di denunciare le ipocrisie umane, di andare contro corrente e contro l’egoismo generalizzato, il coraggio di essere un operatore di pace in un mondo abbandonato a ogni forma di violenza.


Una distribuzione universale

Leggendo la lettera ai Romani, si può affermare che già Paolo aveva chiaro il problema della distribuzione del prodotto cristiano. Infatti benché la Buona Novella sia in grado di lavorare, per così dire, da sola all’interno dell’uomo, essa necessita di una trasmissione che raggiunga i destinatari.

Nel caso dell’evangelizzazione (il prodotto metafisico) non si può parlare di logistica distributiva e neppure di canali di vendita, se non in senso molto lato. Ci si trova di fronte a una distribuzione universale, in primo luogo perché il mercato è senza fine; in secondo luogo perché il potenziale di mezzi umani a disposizione per la diffusione è teoricamente vastissimo. La Chiesa ha la missione di evangelizzare. Nessuno può esercitare questo compito come un fatto personale ma solo in unione con l’intera comunità ecclesiale. Tale corresponsabilità trova un vertice nel Papa e nei vescovi. Loro collaboratori sono tutti i presbiteri che rivestono un ruolo importantissimo: «gli specialisti in marketing per le società di servizi hanno rimarcato che in queste ultime, contrariamente alle apparenze, il potere aveva tendenza ad essere piuttosto vicino alla “base” che alla sommità della gerarchia. Ciò si spiega per il fatto che il cliente, al momento dell’atto commerciale, si fidelizza piuttosto alla persona che si trova di fronte che all’impresa o alla marca che essa rappresenta. Di conseguenza, questi uomini di base (...) sono la vera pietra angolare del successo di tutta l’impresa di servizi. Nella Chiesa, questi uomini di base sono i preti». Essi infatti sono a diretto contatto con la storia concreta della gente e possono verificare immediatamente i risultati della propria opera pastorale. Oltre ai preti i religiosi, le religiose, e anche i fedeli laici ricoprono un ruolo fondamentale e specifico nell’attività distributiva della Chiesa, con pari dignità; infatti, come diceva il famoso teatrologo Konstantin Sergeevic Stanislawskij non esistono piccole o grandi parti, ma solamente piccoli o grandi attori.

Per quanto riguarda la distribuzione dei servizi di fede (il prodotto esistenziale) le problematiche del marketing religioso non si discostano molto da quelle che sono proprie del settore dei servizi. Anche la distribuzione di servizi religiosi deve infatti:

-far fronte alle caratteristiche tipiche dei servizi: intangibilità, non trasportabilità... (metafisicità, eterogeneità...);

-preparare adeguatamente il supporto fisico: strumenti (chiese, oratori, luoghi di ritrovo, arredamenti, barriere architettoniche...) e ambiente (liturgia, forme di accoglienza, presentazione esteriore dei luoghi...);

-formare il personale di contatto (sacerdoti, catechisti, animatori, educatori, tecnici sportivi, laici impegnati...);

-gestire il rapporto con i clienti (fedeli, fedeli occasionali, non credenti, clientela effettiva e potenziale...), cercando di conoscerne le aspettative e i bisogni;

-curare l’organizzazione interna, la struttura e le varie funzioni (relazioni interne tra i vari livelli gerarchici, scambio di opinioni, distribuzione dei compiti e delle responsabilità nelle comunità locali, condivisione della missione e adesione ai progetti operativi...);

-ricordarsi degli altri clienti compresenti all’erogazione di un servizio (analisi costi/benefici dei servizi che possono avere valenze negative per alcuni gruppi di beneficiari, segmentazione dei pubblici di riferimento...);

-predisporre la capacità produttiva (distribuzione geografica di chiese, sacerdoti, religiosi, punti di informazione, centri di accoglienza...);

-regolare i flussi della domanda (orari delle funzioni, apertura dei luoghi, disponibilità degli individui...);

-creare reti di feedback (controllo della qualità dei servizi offerti e raccolta di informazioni, gruppi e consigli intra- e inter-parrocchiali...);

-comunicare adeguatamente (dal valore religioso implicito, ai dati tecnici e spazio-temporali che riguardano i servizi di fede: orari, luoghi, modalità, segnaletica, indirizzi, destinatari delle iniziative...);

-coordinare il mix di servizi (dove il servizio base rimane il prodotto metafisico mentre i servizi di fede ne rappresentano i servizi periferici e ausiliari); e così via.


La comunicazione: una leva del tutto particolare

La comunicazione rappresenta un aspetto primario della natura umana e della vita sociale, senza il quale sarebbe impensabile non solo qualsiasi forma di società ma anche di pensiero. Essa è una leva del tutto particolare non solo in ambito aziendale, ma anche in quello religioso: pervade tutte le altre variabili del marketing mix, coordinandone la definizione e i mutamenti.

Per la Chiesa poi rappresenta un elemento imprescindibile, anzi essa stessa è comunicazione. La rivoluzione comunicativa odierna che si manifesta sempre più come tensione verso una comunicazione totale, caratterizzata dalla compenetrazione tra parola e immagine, tra linguaggi e tecnologie, tra emittenti e ricevitori, tra materiale e immateriale, tra razionale ed emotivo..., può essere una grande occasione per il destino dell’evangelizzazione. Se infatti in questo processo continuo di scambi senza limiti si saprà superare la tentazione dell’esclusivismo scientifico e mantenere l’interrogativo sull’Assoluto, l’estensione della comunicazione al tutto non potrà non favorire la ricerca anche verso Dio.
Risulterà importante superare la visione di chi (gli apocalittici) vede nel nuovo ecosistema simbolico caratterizzato dall’inevitabilità e dall’onnipresenza della comunicazione multimediale solo il pericolo, per l’uomo, di essere subissato di immagini e di informazioni fino alla nausea. Forse proprio questa oppressione costringerà l’uomo, deluso e saturato da tutto ciò che vede e sente, a ricercare ciò che non appare, ciò che sta oltre, ciò di cui la vita è solo una metafora, in una radicale apertura verso la trascendenza e verso nuove possibilità di relazione.

Allora tornerà ad essere vero quello che dice il Piccolo Principe: che l’essenziale è invisibile agli occhi, e allora, forse, per evangelizzare la Chiesa avrà bisogno, oltre che del pastore, anche di chi sa farci intuire un sogno più vero dell’apparenza della realtà: l’uomo di marketing e..., perchè no?!, il clown!

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