«Se ne andò triste». Il limite e la tristezza: vie all'interiorità?


Editoriale
Tredimensioni XXII (2025) 233-237


Il presente numero della rivista si apre con l’articolo Distinguere la desolazione dalla depressione: una questione di psicologia o di mistagogia? È l’inizio ben preparato di una collaborazione, attraverso uno scambio di contributi, con una prestigiosa rivista francese di spiritualità. Anche il magistero teologico spirituale di papa Francesco sui temi della tristezza, desolazione, compunzione, accidia è un patrimonio prezioso e poliedrico per la spiritualità contemporanea, che la nostra rivista si impegna a raccogliere. Non possiamo trascurare che proprio quello che viene vissuto e/o subito in tanti modi come limite e, in diverse forme, come tristezza possa diventare una via privilegiata e necessaria verso l’interiorità autentica.

 

La parabola di un dialogo e di un accompagnamento nel contesto del narcisismo

Il dialogo di Gesù con il “giovane ricco” o il “notabile” (Mt 19,16-22; Mc 10,17-22; Lc 18, 18-23) può essere letto come metafora della condizione esistenziale di giovani e adulti davanti alla sfida delle decisioni di vita, e forse come la parabola del dialogo e dell’accompagnamento nel contesto del narcisismo1. Si tratta di uno scambio che mette in conflitto con sé stessi. In questo racconto evangelico risalta in modo emblematico la dialettica di domanda e risposta che attraversa molti incontri di Gesù e la ricerca di senso nella vita.

♦ Il desiderio del giovane/notabile verso Gesù. La richiesta su ciò che deve fare per avere la vita eterna rappresenta Dio come promessa di felicità. Non è chiaro che cosa gli manca; non si capisce come mai gli manchi ancora qualcosa pur avendo tutto. La ricerca di Dio sembra strettamente legata alla ricerca di un “di più”, e la domanda di felicità non può prescindere da un rapporto buono con sé stessi.

♦ Lo stile provocante di Gesù è un insieme di amore e ironia. La relazione di amore appassionato di Gesù diventa capace di prendere così sul serio la domanda insistente del giovane, da guardare in profondità oltre ciò che lo stesso al momento intuisce. Qui sta l’ironia della relazione educativa, che mette in questione e in crisi la persona nel rapporto con sé stessa. Mentre il giovane chiede: «Cosa mi manca ancora?», Gesù – come se parlasse di un piccolo aggiustamento – risponde: «Una sola cosa ti manca!». L’intervento di Gesù è paradossale, poiché in questa situazione veramente non manca niente, anzi c’è troppo. Non si fa fatica ad intravvedere la condizione di molti giovani e adulti di oggi: si è ricchi di risorse e potenzialità, ma spesso – come svegliati improvvisamente da un sonno – ci si scopre poveri e troppo vulnerabili rispetto al rischio di una decisione di sé. Si rimane con tante possibilità aperte, ma nessuna vocazione. La risposta di Gesù mette radicalmente in discussione l’immagine che il giovane ricco/notabile ha di sé stesso: si pensava come una persona da lodare, realizzata, alla quale in sostanza nulla mancava, se non una conferma o – al limite – un coronamento della propria perfezione; mentre Gesù gli suscita un’inquietudine radicale che lo mette in contrasto con sé stesso, provocandolo al cambiamento di mentalità. 

♦ Lo stile del domandare del giovane si caratterizza per un tratto narcisistico. Egli sa di essere bravo e brama una conferma da Gesù. Quando cerchiamo l’altro/l’Altro cerchiamo sempre anche noi stessi, almeno in qualche misura. La qualità della risposta del giovane ricco/notabile, invece, si caratterizza per un tratto depressivo: «Se ne andò triste». In una lettura ordinaria e superficiale di questo testo, verrebbe da commentare: «Peccato, è andata male… era un giovane così bravo!». In verità, non dovremmo sminuire tale conclusione, perché contiene qualcosa di prezioso, un frammento che parla sia del mistero di Dio sia del mistero dell’uomo. Proprio nel passaggio dal narcisismo alla depressione ci potrebbe essere un punto di ritrovamento dell’interiorità, e un’occasione per ripartire in una libertà più profonda. Il giovane se ne va triste, ma questo scacco sembra l’unica esperienza capace di riportarlo veramente in contatto con sé stesso, di liberarlo dalla propria grandiosità e presunzione che, da una parte, lo anestetizzava rispetto alla sua fragilità e, dall’altra, rischiava di ridurre l’incontro con Gesù ad un rispecchiamento di sé stesso nella ricerca della Sua ammirazione. La pro-vocazione di Gesù, mentre lo disorienta, lo induce finalmente a riconoscere che davvero qualcosa gli manca! In questa discesa in sé stesso – certamente non facile perché segnata dalla tristezza – potrebbe esserci il recupero di un’intimità più autentica, capace di sperimentare maggiore empatia verso l’altro, di percepire il proprio limite e di dispiacersi della distanza dai valori evangelici.

Vi è infatti una tristezza che conviene alla vita cristiana e che con la grazia di Dio si muta in gioia: questa, ovviamente, non va respinta e fa parte del cammino di conversione. […] (2 Cor 7,10). C’è dunque una tristezza amica, che ci porta alla salvezza. Pensiamo al figlio prodigo della parabola: quando tocca il fondo della sua degenerazione prova grande amarezza, e questa lo spinge a rientrare in sé stesso e a decidere di tornare a casa di suo padre (Lc 15,11-20). È una grazia gemere sui propri peccati, ricordarsi dello stato di grazia da cui siamo decaduti, piangere perché abbiamo perduto la purezza in cui Dio ci ha sognati.


Per un accompagnamento che non censuri la tristezza

Tenendo presente il contesto odierno e alla luce dell’antropologia cristiana, sembra di poter delineare alcuni criteri fondamentali per accompagnare verso la riconciliazione con sé stessi, a partire dal vissuto personale, con le sue risorse e i suoi limiti.


Non solo empatia, ma anche discernimento

L’accompagnamento spirituale è caratterizzato da un duplice movimento: ascolto e discernimento. Nella prassi più diffusa, sotto la spinta della psicologia umanistica, anche nella direzione spirituale si accentuano i tratti – necessari ma non sufficienti – dell’ascolto, dell’accoglienza, dell’empatia, della non-direttività. Sembra, invece, che si trascurino aspetti quali: il discernimento, il confronto con il vangelo, la conversione della mentalità, la necessità di decidere come spendere la vita. 

La dimenticanza del movimento del discernimento di solito va di pari passo alla dimenticanza del ruolo che riveste l’esperienza della preghiera nel discernimento. Diciamo “esperienza della preghiera” per sottolineare che non è sufficiente il fatto di pregare, ma occorre fare attenzione a ciò che lo Spirito suscita nell’animo del credente durante la preghiera. 


Riattivare la dialettica del desiderio

Diversamente da come spesso viene interpretato, l’accompagnamento spirituale non serve tanto a tranquillizzare ma ad inquietare. Oggi il rischio diffuso riguarda la caduta del desiderio: è raro incontrare giovani e adulti che desiderano troppo; al contrario, davanti alla distanza tra le proprie aspettative e ciò che si trova nella realtà, la reazione diffusa è quella di accontentarsi o cambiare ambiente e relazioni. Anziché coinvolgersi in un ideale che attiva energie e richiede trasformazioni, si preferisce rimanere in una zona di comfort, nell’attesa che le condizioni esterne siano maggiormente favorevoli.

L’accompagnamento spirituale non deve dimenticare la natura profonda dell’esistenza umana, che trova il proprio compimento nel dono di sé e nell’affidamento a una relazione profonda a cui si sente di appartenere. La dialettica del desiderare umano include necessariamente una dimensione di lotta e di rinuncia, che interpella e in qualche modo esalta la libertà umana. Inoltre, essa implica la consapevolezza di un vuoto: una mancanza che non rimanda tanto ad una “perfezione” non raggiunta quanto ad una situazione esistenziale che continuamente ci appartiene, e deve mantenerci su quelle strade che Gesù ha percorso con determinazione, anche se gli sono costate fatica e tristezza.


Non dimenticare la risorsa del limite e della realtà

L’accompagnamento spirituale spesso rimane troppo nel virtuale, piuttosto che favorire la capacità di stare nelle strettoie della realtà, di ciò che non si è scelto e del limite personale. Non di rado capita di incontrare giovani e adulti ancora alle prese – almeno in parte – con questioni evolutive irrisolte o messe tra parentesi, che – pur disponendo di informazioni qualificate e di esperienze diversificate – cercano nelle esperienze spirituali la risposta magica alla propria deprivazione affettiva. 

Mentre uno sguardo esterno potrebbe valutare che tali soggetti sono molto avanzati nel cammino spirituale, un serio accompagnamento deve favorire un contatto con la vita concreta a partire da elementi quotidiani, come le responsabilità di studio e lavoro, il ritmo e le forme di preghiera, le scelte di impegno e servizio, le relazioni con i famigliari. In tale contatto con la realtà si fa certamente esperienza dei limiti propri e delle situazioni in cui si è immersi: ciò può essere fonte di tristezza, ma diviene un passaggio necessario per una scelta di libertà nel dono di sé.




1 “Narcisismo” qui inteso non in senso patologico, ma come stile complessivo di personalità, comunque molto sensibile all’ammirazione, con una significativa devozione alla propria grandiosità e una ridotta percezione empatica.

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