La discrezione non è più una virtù?!
Intendiamo la discrezione come la capacità di mantenere un segreto o qualcosa di riservato. La discrezione può assumere formalità istituite nelle diverse forme di segreto professionale, ma alla base essa è una virtù umana molto concreta che oggi sembra tramontare.
Senza privacy
Siamo nell’epoca della privacy, un dispositivo assolutamente importante in ogni pratica di cura, di iscrizione, di partecipazione, di comunicazione, di contratti ecc., in presenza di dati sensibili. Ogni volta dobbiamo autorizzare, e spesso lo facciamo per abitudine, senza pensarci; altre volte pretendiamo almeno un po’ di privacy quando ci accorgiamo quanto i social e la pubblicità tengono traccia dei nostri gusti e delle nostre ricerche. Il moltiplicarsi dei dispositivi di privacy in realtà testimonia quanto essa sia a rischio o non esista quasi più.
Impulsività e comunicazione
Certamente l’avvento dei social network e del digitale ha provocato un cambio di costume, non solo rendendo accessibili informazioni e creando nuovi canali di comunicazione, ma avvicinando e, non di rado, confondendo l’impulsività con la comunicazione: questioni personali o consegnate alla fiducia di un gruppo solidale vengono buttate sui social; consigli istituzionali o comunitari, di metodo riservati, vengono traditi nella discrezione. Può capitare che qualcuno scelto come segretario personale non sappia tenere il segreto o la riservatezza; succede addirittura che ecclesiastici insigniti di alte cariche vivano una sorta di segreto professionale a scadenza (!), rivelando fatti riservati una volta decaduti dall’incarico o se esclusi da ulteriori gradi di carriera. Ormai anche nelle amicizie, quando si conoscono aspetti personali e intimi della storia dell’altro, non sembra così chiaro il dovere della riservatezza e l’importanza di essere fedeli nel custodire la discrezione.
Invischiamento
L’invischiamento si verifica in alcuni gruppi chiusi, all’interno dei quali tutti vogliono o pretendono di conoscere le vicissitudini intime degli altri, generando un forte controllo reciproco. L’invischiamento è la difficoltà dei soggetti a stabilire e mantenere confini chiari nella comunicazione, capaci di custodire ciò che è intimo per il rispetto sia della propria persona che degli altri. Su questo aspetto non va sottovalutata la pressione generata dall’ambiente: in un gruppo affettivamente importante per la persona, non adeguarsi alle richieste e allo stile degli altri genera facilmente dubbi e sensi di colpa. In un contesto sociale più ampio la pressione è minore, ma rimane una capacità di influenza generata da modelli e stili diffusi di comportamento. Ad es. in molti social vengono presentati soltanto tipologie di persone che hanno avuto successo, sminuendo più o meno apertamente tutti coloro che nella vita non sono stati capaci di emergere e attirare su di sé l’attenzione del mondo. Il dato più importante su cui riflettere è che il successo deriva dall’aver attirato su di sé l’attenzione e non il contrario. È il fenomeno delle celebrità, brillantemente descritto da Bauman, cioè delle persone famose per il fatto di essere riuscite ad essere famose.
Segretezza e insabbiamento dei problemi
La spinta verso una comunicazione assolutamente aperta – anche in violazione dei più elementari principi di riservatezza, pudore e tutela delle persone – nasce talvolta per reazione a fenomeni opposti, quali un utilizzo strumentale della segretezza e l’insabbiamento di problemi anche gravi.
Infatti, non è infrequente imbattersi in persone che chiedono segretezza al fine di non assumersi la responsabilità dei propri comportamenti e di creare una complicità negativa con l’interlocutore. Ad es. un adolescente che confida al suo insegnante preferito di far uso di droga salvo chiedergli immediatamente segretezza: né i suoi genitori né la scuola devono sapere nulla. Una richiesta di questo tipo non può essere accolta perché regressiva; al contrario occorre rimandare la persona alla sua responsabilità e coinvolgere altre figure che possano aiutare un percorso di crescita. Non si tratta di tradire la fiducia, ma di comunicare apertamente che quanto accade è grave e aiutare l’adolescente a fare i passi necessari (ad es. andando insieme a lui a parlare con i genitori).
Talvolta l’uso strumentale del segreto può avvenire ad opera di un’istituzione che vieta ai membri di una comunità di parlare a persone esterne di cose che succedono all’interno o di riferire loro informazioni rilevanti, rifacendosi ai principi di discrezione, tutela della buona fama della persona, privacy, immagine dell’organizzazione stessa. La discrezione, come altre virtù, si esercita concretamente nella ricerca e nell’attuazione della giusta misura nella comunicazione. Occorre domandarsi: quale tipo di informazioni è doveroso condividere e con quali persone? Ad es., se un prete ha avuto problemi di alcolismo e ora ha recuperato con fatica un equilibrio personale, è possibile inviarlo in una comunità senza dire nulla a nessuno? Per il bene suo e della comunità non è forse necessario informare alcuni in modo che possano essere attenti ad evitare situazioni pericolose, a sostenerlo e a cogliere eventuali segni di ricaduta? La discrezione chiede di interrogarsi su quali persone sia necessario coinvolgere e in quale modo, tenendo conto del ruolo concreto che avranno (ad es. il responsabile della comunità, il seminarista che vive in canonica per un anno insieme ai preti...) e della loro personalità. Questa comunicazione permette alla comunità, attraverso alcuni suoi esponenti, di accogliere in modo adeguato il prete che arriva, oppure di riconoscere che obiettivamente non ci sono le condizioni perché la sua permanenza non divenga premessa di nuovi e gravi problemi.
La valutazione di quale modalità di comunicazione sia opportuna e necessaria deve necessariamente tener conto anche del ruolo della persona di cui stiamo parlando e del tipo di relazioni che essa va ad instaurare. Purtroppo sono numerosi i casi di abusatori che hanno replicato i loro crimini con nuove vittime, aiutati dal fatto che nessuna comunicazione era stata resa pubblica, nemmeno dopo le sentenze di processi.
Discrezione: virtù nascosta ma decisiva
La capacità di discrezione è un indizio decisivo e rivelativo della qualità di una persona. Può essere segno di buoni confini della personalità, di un senso di intimità con la relativa capacità di “habitare secum”, di qualità di relazione nella linea della fedeltà e delicatezza, di senso della misura nella comunicazione e non solo, di prudenza e discernimento, così come della capacità di assumersi la responsabilità di trasmettere certe informazioni. Certo, una virtù piccola e talvolta nascosta, ma molto predittiva per la selezione e il discernimento sia nei campi professionali che vocazionali. Ma chi la considera?



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