Cosa resta dentro di noi?


A fine luglio 2020, un gruppo diversificato di operatori sanitari del Policlinico di Milano si è radunato per iniziativa della Cappellania per un tempo di ascolto, condivisione e dialogo, a partire da una domanda molto essenziale che raccoglieva l’esperienza vissuta nei mesi precedenti: «Abbiamo fatto tanto per gli altri, cosa resta ora dentro di noi?». Un analogo esercizio di ascolto vero e condiviso sarebbe da proporre con distensione e profondità in ogni comunità civile e religiosa, gruppo di volontariato e di spiritualità, azienda e cooperativa, équipe educativa o di lavoro di ogni genere. Un ascolto e un dialogo che lasci emergere i vissuti più personali e le domande più essenziali, ben oltre quindi gli aspetti funzionali e di ruolo. Un’esperienza che con semplicità e profondità riesca a coinvolgere la nostra persona nella sua interiorità e verità, sino a creare un clima di fiducia e discrezione che ci possa portare a manifestare con verità ciò che, nel tempo attraversato, è stato toccato nella nostra vulnerabilità. 

 

Relicta: ciò che rimane 

Abbiamo vissuto qualcosa di incredibile, come una tremenda inondazione che ha travolto tutto e tutti, che ora si ripresenta continuando a inondare, a minacciare e purtroppo a distruggere centinaia di migliaia di persone non solo in Italia e in Europa, ma in tante regioni della Terra, colpendo soprattutto i più vulnerabili per salute, età, precarietà lavorativa, povertà e mancanza di garanzie sociali e sanitarie. Ne siamo stati coinvolti, ci siamo ancora dentro, abbiamo fatto e stiamo facendo il possibile, forse anche di più. Anche noi, le nostre famiglie, i vicini, gli amici siamo stati colpiti, spaventati, disorientati, feriti in diversi modi più o meno gravi, abbiamo perduto persone care, senza neppure avere lo spazio e il tempo di poterle salutare, congedarci da loro e vivere insieme il lutto. 

Molti, comprensibilmente, vogliono dimenticare e negare ciò che è accaduto e anche dentro ciascuno di noi succede un po’ la stessa cosa. Inoltre, cresce l’insofferenza nell’osservare le necessarie norme di sicurezza che proteggono la salute altrui e propria. Durante l’estate si è vissuto come se tutto fosse passato o, addirittura, non fosse veramente accaduto, come se fossimo stati trascinati in un incubo che al risveglio sarebbe dovuto scomparire. Anche lo slogan per gli oratori estivi lombardi (un titolo certamente nato con buone intenzioni ma drammaticamente infelice: Aperti per ferie) ignorava che tante perso- ne hanno perso il lavoro, altre hanno dovuto chiudere le attività che assicuravano loro una vita dignitosa, molte ancora non avevano più le ferie retribuite, dopo non aver neppure ricevuto la cassa integrazione. Purtroppo ci sono tante persone che non possono dimenticare: per le conseguenze di salute fisica e psichica, di lavoro ed economiche, per il vuoto lasciato dalla morte dei loro cari, di amici, vicini, colleghi/e di lavoro. Non si possono dimenticare neanche gli operatori dei servizi alla salute e del sostegno alle situazioni più vulnerabili in ogni campo, coloro che si sono coinvolti e impegnati indefessamente, rispondendo senza fughe e alibi a doveri professionali e morali inderogabili, pagando con lo stress, la salute, la riduzione dei contatti familiari. Come “professionisti” su diversi fronti – con la missione di educare, accompagnare e integrare – e come responsabili di istituzioni educative, pastorali, assistenziali, culturali non possiamo dimenticare, anzi dovremmo riconoscere i “relitti” lasciati dalle successive inondazioni del Covid1: il grande aumento di suicidi, l’aumento di abusi e maltrattamenti sui minori e sulle donne, l’estendersi del disagio psichico, il crescere delle persone che subiscono e vivono dipendenze da sostanze e non (come il gioco d’azzardo, la pornografia e altre forme di dipendenza da Internet). Tutto questo in un drammatico allargamento della forbice tra i ricchi e i poveri, di aumento grave della precarietà lavorativa, in un orizzonte sempre più incerto di sussistenza economica delle famiglie nella carenza di ammortizzatori sociali. 

Il Covid è diagnostico 

Il Covid – con le conseguenze umane e sociali che provoca – risveglia le parti più profonde di se stessi: è come una radiografia che mette in luce il proprio modo di essere, le fragilità, le proprie reazioni e lo stile delle relazioni. Se questa presa di coscienza non fa saltare l’equilibrio psichico di una persona, la costringe comunque in qualche misura a ridefinirsi. La condizione di isolamento (a volte di vuoto o comunque di distanziamento sociale) unita all’ansia e alla paura per la salute propria e altrui o all’angoscia per la perdita di persone care o di opportunità di vita, scioglie, per così dire, il “Super-Io”, e scardina l’equilibrio delle difese psichiche. Questa riapertura delle dinamiche psicologiche individuali provoca due movimenti profondi: da una parte, uno sprofondamento nelle problematiche della propria storia personale (con forme di depressione, risentimento, senso di solitudine, paure primordiali); dall’altra, un riconoscimento delle risorse (ad esempio, motivazioni più solide, energie di resilienza, capacità di trovare soluzioni nelle difficoltà). 

La sequenza dei due tempi della chiusura e della riapertura ha messo in luce situazioni di sofferenza e disagio, a volte patologiche, non solo nelle persone ma anche nelle famiglie, nella comunità ecclesiale, nella compagine sociale, così come ha liberato risorse di creatività e solidarietà. Possiamo rilevare che in positivo il Covid è rivelatore di compassione, empatia, capacità di coinvolgere, resistenza nelle condizioni avverse, fedeltà nel servizio, disponibilità a progettare e realizzare insieme, coraggio di immaginare e rischiare. In negativo, porta allo scoperto conflitti familiari, sociali ed ecclesiali, deliri paranoidi di tipo complottista o religioso, sensi di persecuzione, prepotenze e violenze. 

In questa prospettiva il Covid diventa paradossalmente anche un’opportunità per conoscere come siamo e come funzioniamo – personalmente e in relazione – nelle comunità e nelle istituzioni. Di fronte alle difficoltà personali e sociali di questo tempo siamo tentati, semplificando, di attribuirne la colpa al Covid, mentre in realtà la situazione che stiamo vivendo non fa che mettere in evidenza quello che siamo: aspetti positivi e negativi, risorse e fragilità, motivazioni e pregiudizi. 

Impareremo qualcosa? 

In questo tempo di Coronavirus, che sembra non avere fine, c’è il grave e molto probabile rischio di non imparare, di non convertirsi e di non cambiare. Dopo che tantissime persone hanno ripetuto come un mantra che niente sarebbe stato più come prima, ci troviamo a rischiare di dimenticare, di non portare nel cuore e nella memoria, e così di non imparare, ma piuttosto di rimetterci a fare tutto come prima, più di prima e peggio di prima. Per imparare da questo tempo è necessario percorrerlo fino in fondo. Ricorrendo alla metafora del racconto biblico dell’Esodo, prima di entrare nella terra promessa bisogna attraversare il mare e poi c’è un lungo e faticoso cammino nel deserto. Mons. Derio Olivero (Vescovo di Pinerolo), che ha conosciuto in prima persona la malattia grave e la terapia intensiva, nella sua testimonianza2 distingue l’esperienza del vivere un evento molto forte, dalla modalità con cui una persona reagisce ad esso ed è disponibile a imparare. Come gli amici di Giobbe, così rispetto all’umanità afflitta dal Covid si delineano varie posizioni: c’è chi giudica, chi ha trovato l’interpretazione assoluta, chi ha individuato “il colpevole”... senza però comprendere questo “tempo umile”. Non possono imparare quelli che in questi giorni non stanno facendo i conti con se stessi. Non sono disponibili ad imparare coloro che non entrano in contatto con la miseria e la grandezza della propria umanità: le povertà e i limiti, le qualità e le risorse, il timore e la speranza. Non han- no margine di imparare coloro che non si interrogano sulle proprie responsabilità di coscienza all’interno del proprio ruolo, compito o professione civile e religiosa. Non hanno possibilità di imparare coloro che non percepiscono la propria vulnerabilità così comune a quella di ogni fratello e sorella in umanità, soprattutto se vivono in situazioni più precarie. Non si imparerà mai se non si riconosce la propria vita come un dono e non un possesso, un “di più” che potrebbe anche non esserci. Per imparare occorre lasciarsi toccare profondamente dal tempo presente, con la libertà di mutare sguardo e di cambiare mentalità. Proprio questo è il senso di “metànoia”, parola greca che significa conversione. 

 

Ripartire per un’altra strada 

«Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese» (Mt 2,12). Il richiamo che siamo chiamati ad ascoltare e accogliere in profondità è quello ad una conversione, a un ripartire in modo nuovo, a una scelta alternativa ispirata dallo Spirito rispetto alla logica di Erode: la logica della volontà di potenza, la logica della grandiosità che non accetta il lutto del limite e il dato di realtà di essere minoranza, la logica dello scarto che esclude i più poveri. 

La strada alternativa non la si trova se non nell’ascolto. Sembra allora prima di tutto necessario attivare pratiche di ascolto insieme, con passione e rispetto, cercando una memoria comune, condivisa e profonda. Solo nell’ascolto si impara dall’esperienza e anche dal patire e dagli imprevisti della vita. Occorre perciò favorire pratiche regolari e preparate di ascolto personale e corale che possano generare atteggiamenti, stili, scelte nuove. 

Possiamo riconoscere alcuni criteri per ritornare «per un’altra strada» con un altro stile, al proprio “paese”, nel proprio contesto, nelle comunità e nelle istituzioni secondo il proprio servizio, responsabilità e ruolo. 

✓ Ripartire dalla vulnerabilità. In ogni contesto, ripartire dal riconoscimento della vulnerabilità, propria e altrui, come luogo in cui riscoprire l’umanità, senza lasciarsi paralizzare dalla paura e dalla vergogna, da una parte, senza doversi nascondere dietro la propria sicurezza e autosufficienza, dall’altra. Questo significa concreta- mente dare spazio e attenzione a chi soffre e alle persone che in ogni modo stanno accanto, accompagnano e si prendono cura. Si tratta di riconsiderare (in noi stessi, negli altri, nelle comunità, nella prassi) il “patire” quale dimensione necessariamente passiva del vivere. 

✓  Cercare l’essenziale. Cercare ciò che è veramente essenziale, lasciando cadere il superfluo, alleggerendosi di tutto ciò che costituisce zavorra, che appesantisce e frena la corsa della Parola. Questo discernimento non dovrebbe essere autoreferenziale, ma frutto di un’elaborazione condivisa in contesti di comunità, di presbiterio, di associazione, di équipe educative. 

✓  Dal piccolo al grande. Siamo abituati a considerare e progettare le cose “dal grande al piccolo”, mentre c’è una resistenza notevole a ripensare tutto “dal piccolo al grande”, nella logica delle parabole del Regno. Non è scontato attraversare insieme e personalmente il lutto del non poter più gestire un’iniziativa come si era abituati, del cambiamento dei dati reali di partecipazione alle diverse iniziative e della distanza dalla Chiesa o dell’essere comunque in una più evidente situazione di minoranza. 

✓  Primato della qualità delle relazioni. Primato delle relazioni, in ter- mini di attenzione, ascolto, empatia, confronto, accompagnamento, non solo nei rapporti brevi, ma anche in una comunità e nelle relazioni istituzionali che altrimenti perdono di autorevolezza e di percezione della realtà. 

✓  L’immaginazione e la creatività. L’immaginazione e la creatività possibili3 a partire dalla seria considerazione della concretezza delle situazioni. Per lasciare lo spazio dell’immaginazione e della creatività è necessario: ascoltare tutti, sia esperti che gente comune, sia adulti che giovani; imparare una pratica per pensare, pregare, pro- gettare insieme; lasciarsi guardare dall’esterno da persone attente e preparate che possano aiutare a “vederci” in modo più realistico e libero da pregiudizi e preclusioni clericali. 

 

Comprendere questo tempo: una conversione per la Chiesa 

Per comprendere questo tempo “umile”, occorre assecondare un processo già in atto nella Chiesa4: la “conversione sinodale” della Chiesa in ogni sua forma ed espressione. Una Chiesa che accompagna5, una Chiesa che diventa ambiente per discernere6, una Chiesa partecipativa e corresponsabile7 che vive processi di discernimento comunitario: 

L’esperienza di “camminare insieme” come Popolo di Dio aiuta a comprendere sempre meglio il senso dell’autorità in ottica di servizio. Ai pastori è richiesta la capacità di far crescere la collaborazione nella testimonianza e nella missione, e di accompagnare processi di discernimento comunitario per interpretare i segni dei tempi alla luce della fede e sotto la guida dello Spirito, con il contributo di tutti i membri della comunità, a partire da chi si trova ai margini. Responsabili ecclesiali con queste capacità hanno bisogno di una formazione specifica alla sinodalità. Pare promettente da questo punto di vista strutturare percorsi formativi comuni tra giovani laici, giovani religiosi e seminaristi, in particolare per quanto riguarda tematiche come l’esercizio dell’autorità o il lavoro in équipe8



1 Cf E. Marro, Isolamento e crisi economica, ondata mondiale di “suicidi da coronavirus”, in «Il Sole 24 Ore», 12 maggio 2020; Abusi su minori: Telefono Azzurro, operativo durante tutto il mese di agosto 24 ore su 24. “Durante il lockdown aumento dei casi di violenza”, SIR Agenzia d’informazione (agensir.it), 13 agosto 2020 @19,14; A. Vetrano, Giornata della salute mentale: si punta su maggiori investimenti e migliore acces- sibilità, in «TRIESTEPRIMA» (triesteprima.it), 10 ottobre 2020; Rapporto ISS COVID-19 n.23/2020 – Indicazioni di un programma di intervento dei Dipartimenti di Salute Mentale per la gestione dell’impatto dell’epidemia Covid-19 sulla salute mentale. Versione del 6 maggio 2020.
2 Intervento del Vescovo di Pinerolo Derio Olivero al consiglio pastorale diocesano, 26 giugno 2020, in diocesipiacenzabobbio.org
3 Francesco, Il coraggio di una nuova immaginazione possibile, in «L’Osservatore Romano», 17 aprile 2020.
4 XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani, la Fede ed il Discernimento Vocazionale, 27 ottobre 2018.
5 Ibid., 91-103.
6 Ibid., 104-113.
7 Ibid., 123. 
8 Ibid., 124.

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