Accompagnare nella scelta dello stato di vita (II): attenzioni di metodo e relazioni da favorire


Maurizio Costa
Tredimensioni 1(2004) 3, 235-252



In un articolo precedente apparso su questa Rivista  abbiamo trattato dell’accompagnamento verso la maturità di un giovane  alla ricerca della volontà di Dio circa lo stato di vita definitivo. Dopo avere trattato alcune chiarificazioni necessarie soprattutto all’inizio del cammino e alcuni atteggiamenti da favorire sia nel giovane che nell’accompagnatore, in questa secondo articolo vorremmo esplicitare alcuni criteri per una retta impostazione di un progetto di crescita personale raggruppandoli attorno a due altri poli o “parole-chiave”: attenzioni privilegiate di metodo e relazioni. Vale a dire ci proponiamo di analizzare alcune attenzioni di metodo che ci sembrano doversi privilegiare e, soprattutto, la cura che si deve avere perché siano ben impostate le diverse relazioni che il giovane incontra nel suo cammino di scelta dello stato di vita in modo che risultino per lui aiuti verso una maturità sempre più piena.

 

Attenzioni privilegiate di metodo


Nell’accompagnare il giovane in ricerca dello stato definitivo di vita, per una sua proficua maturazione umana e spirituale, la guida non è esente da un paziente e attento lavoro interiore su se stesso. Ne fa parte anche la cura per alcune attenzioni particolari di metodo da tenere costantemente a fuoco e ben presenti nell’esercizio del suo compito.   Questo è tanto più vero se si ricorda che l’accompagnatore non deve limitare la propria azione alla semplice trasmissione di contenuti, soprattutto se veicolati attraverso la via didattica propria del docente.

a) Educazione, non istruzione
L’accompagnare non è né solo né principalmente un ministerium Verbi o anche un semplice indottrinamento di verità. E' vero che, in occasione del colloquio si potrà richiedere alla guida anche una comunicazione di verità e un annuncio della Parola, ma propriamente l’accompagnatore non riflette Cristo Maestro e la sua azione non si colloca solo nel filone dell'attività magisteriale.
Nella formazione della coscienza, fondamentale in un processo di maturazione umana e spirituale soprattutto in un momento così delicato quale quello del processo di scelta dello stato di vita, la comunicazione oggettiva della Parola o, comunque, delle verità è decisiva; bisogna, tuttavia, fare attenzione che la sottolineatura della comunicazione della Parola e delle verità attraverso la comunicazione verbale non porti l'accompagnatore a sentirsi e a diventare un professore, un istruttore, un insegnante (di dogma, di morale, di psicologia, di antropologia, o anche di "temi spirituali"), piuttosto che un educatore e un suscitatore di esperienze spirituali. Ci sarebbe il pericolo di cadere in un'impostazione pedagogica di stampo razionalistico che facilmente, da una parte, indurrebbe il giovane a preoccuparsi unicamente della comprensione di quanto recepito attraverso la comunicazione verbale, in altre parole delle idee, dei principi e dei concetti, da applicarsi quasi automaticamente alla realtà con un impegno puramente volontaristico, senza un’assunzione responsabile delle proprie decisioni nella luce della fede e senza un coinvolgimento anche affettivo della propria persona; e, dall’altra, la guida sarebbe indotta a preoccuparsi soprattutto, per non dire unicamente, dell'autenticità dell’intervento alla partenza più che all'arrivo, della sua comunicazione più che dell'ascolto da parte dell'accompagnato. Il cammino verso la maturità sarebbe un percorso solamente logico più che esperienziale e vitale.

b) Pedagogia personalistica, dialogica ed esperienziale
Proprio perché convinto che la sua azione nei riguardi del giovane sarà tanto più promotrice di maturità e gli sarà tanto più d’aiuto quanto più sarà riflesso, segno, anzi direi sacramento, dell’azione stessa di Dio pedagogo amante dell’uomo, che per primo avrà sperimentato e riconosciuto nella propria esistenza, l’accompagnatore si preoccuperà di impostare la sua relazione con la persona da accompagnare secondo una pedagogia personalistica, dialogica ed esperienziale.
L’attenzione alla persona piuttosto che al comportamento, l’instaurazione di un dialogo d’amore, nel quale la chiamata, animata dal suo amore, non solo rispetta la libertà del giovane, ma addirittura è capace di suscitarne una risposta pienamente libera, e l’interesse per l’esperienza e per il vissuto del giovane, quale “luogo” privilegiato nel quale cogliere e discernere la Parola di Dio sempre più compiutamente e “mezzo attraverso” il quale stimolare nel giovane il proprio processo di crescita, sono altrettanti punti qualificanti la pedagogia dell’accompagnatore. Il magistero del Card. Martini soprattutto nella lettera Dio educa il suo popolo e quello di Giovanni Paolo II, soprattutto nel capitolo IV della Pastores dabo vobis, offre all’accompagnatore pagine mirabili di meditazione per entrare sempre meglio in una pedagogia della fede e nella fede, quale si richiede per aiutare i giovani nella scelta decisiva dello stato di vita e nel cammino personale verso una sempre più piena maturità di tutta la loro persona concreta.
L’attenzione privilegiata per questa pedagogia personalistica, dialogica ed esperienziale aiuterà l’accompagnatore ad evitare alcuni errori nei quali egli potrebbe facilmente cadere, soprattutto oggi sotto la pressione di una cultura “debole” e superficiale, dell’effimero e del look, preoccupata più dell’apparire che dell’essere.
Prima di tutto, infatti, l’attenzione privilegiata per questo tipo di pedagogia aiuta a non accontentarsi di una semplice lettura della situazione. Essa è necessaria e va stimolata dalla guida, ma non è sufficiente e non può essere decisiva. “Educare attraverso l’esperienza” non significa lasciarsi determinare e schiavizzare dal dato storico, altrimenti si verificherebbe una perniciosa contrapposizione alla dimensione personalistica e dialogica dello stesso processo formativo che comporta il coinvolgimento dell’interiorità e della libertà della persona. “Educare attraverso l’esperienza” non significa solo educare alla percezione dei dati storici particolari e mutevoli che andranno coniugati con i dati universali e immutabili della fede e della ragione. Per aiutare la maturazione di una decisione libera e responsabile nella maggiore misura possibile, si renderà necessario quel dialogo interpersonale nel quale l’accompagnatore inviterà il giovane ad appropriarsi correttamente di questi dati della ragione e della fede, e gli offrirà aiuti per attuare interiormente quel clima costante di preghiera e d’ascolto dello Spirito necessario per la retta integrazione tra i diversi dati da tenersi presenti in tutto il processo di scelta. Non per niente si parla di “educare attraverso l’esperienza” e non di “educare al senso dell’esperienza”: il termine dell’azione dell’educatore è la maturità della persona, non l’esperienza; questa rimane un mezzo dell’educazione e non deve esserne considerata un fine!

c) Dal comportamento all’interiorità
Altri errori che l’educazione personalistica, dialogica ed esperienziale permetterà all’accompagnatore di evitare più facilmente sono il comportamentalismo e il tecnicismo/legalismo. Proprio perché si tratta di un’educazione che pone al suo orizzonte la persona intera a partire dall’esperienza, l’accompagnamento della guida non si può accontentare di un semplice comportamento esteriore anche se ineccepibilmente corretto. Senza un’attenzione all’interiorità della persona, al suo modo di intendere e “sentire” i problemi e le loro soluzioni, senza un coinvolgimento dell’affettività oltre che dell’intelletto che offre valide motivazioni all’agire esterno, è facile che, qualunque sia la decisione presa, essa sia sostenuta da un volontarismo a punta di spillo. Difficilmente nel concreto della vita, col passare degli anni, l’uso rigido della volontà a sostegno del proprio comportamento può essere a lungo mantenuto ed esercitato.
Non è, evidentemente, difficile capire come quest’impostazione esteriore, nel caso di una scelta immutabile qual è quella dello stato di vita, apra la porta a quelle che impropriamente sono dette “tristi sorprese”, come per esempio l’abbandono della vita sacerdotale o religiosa, oppure del coniuge. Che siano “tristi” tutti lo riconoscono; che siano “sorprese”, lo può dire solo chi si è illuso di aver compiuto (o di aver visto compiere da parte del giovane) una maturazione umana solo per il fatto di aver mostrato un’immagine di sé forse anche ortodossa, ma terribilmente superficiale, e di aver osservato un retto comportamento esteriore.
L’accompagnatore che sa evitare per sé l’errore del comportamentismo, sarà in grado di difendersi meglio, nella sua azione educativa, dalla tentazione di cedere al tecnicismo, che, come il compor-tamentismo, spesso spalanca le porte al legalismo e ad una fedeltà statica. Talvolta si pensa di ricorrere alla tecnica per sopprimere le proprie mancanze e i propri difetti interiori sia spirituali, sia umani. Di fatto, però, non si fa che nasconderli. Questo costituisce non una soluzione, bensì un pericolo in più. La vocazione non è l’esecuzione di una legge, fosse anche legge divina. Il rispondere alla chiamata di Dio, il “fare la volontà di Dio”, non può essere ridotto ad un’esecuzione di un progetto impersonale e freddo di Dio nel quale non fosse coinvolto l’uomo intero con tutte le sue energie, i suoi desideri, le sue aspirazioni. Impedire che sia messo il silenziatore alle risorse più interiori della persona, facendo invece proprio appello a loro, è una delle attenzioni sulle quali l’accompagnatore dovrebbe principalmente vigilare e che al tempo stesso dovrebbe soprattutto promuovere nel giovane.      
     
d) Tre movimenti del discernere
Queste considerazioni ancora una volta ci riportano a dover sottolineare l’importanza di vivere il cammino verso la maturità, soprattutto quando si tratta ed è in gioco la scelta definitiva dello stato di vita, come un processo di discernimento continuo nel quale il giovane deve progressivamente entrare con un’attenzione sempre più affinata all’azione dello Spirito e con una docilità alla sua azione interiore sempre più precisa. Questo comporta ripercorrere, quasi con un movimento a spirale ascendente verso una trasparenza sempre maggiore della volontà di Dio, le diverse tappe in cui è scandito il cammino della ricerca di ciò che a Dio è più gradito nelle concrete circostanze della propria esistenza. “Sentire – Giudicare – Scegliere”, “Raccogliere i dati – Discernere – Deliberare” “Accorgersi/annotare – Comprendere/Vagliare – Integrare”: ecco alcune triadi di verbi che scandiscono le tre tappe fondamentali di un processo di discernimento. Essi hanno come oggetto particolare i dati (universali e particolari, di ragione e di fede, mutevoli e immutabili, di natura e di grazia, ecc…) di tutta l’esperienza umana da cui si parte (=prima tappa), per giungere, attraverso la riflessione (=seconda tappa), a conoscere, amare e ad abbracciare con libera scelta la Parola di Cristo che risuona nel cuore e chiama, nel nostro caso concreto contemplato, a seguirlo in un particolare e specifico stato di vita. Queste tre tappe potrebbero essere rispettivamente attribuite, come a principi che danno origine alle diverse operazioni che le caratterizzano, alle facoltà della memoria, intesa soprattutto come facoltà che porta al presente del processo di discernimento in atto il passato delle esperienze vissute; alla facoltà dell’intelletto che non solo giudica, distingue e separa, ma che, prima ancora, comprende, fa conoscere e legge la realtà nella sua interiorità; e alla facoltà della volontà/libertà in forza della quale si opera la scelta della volontà di Dio conosciuta e amata.
Le indicazioni metodologiche per condurre un discernimento spirituale autentico, insieme alle Regole del discernimento degli Spiriti, che si sono andate accumulando nella sapienza della chiesa e dell’umanità lungo i secoli a partire dalla secolare esperienza della Tradizione viva della Chiesa, sono aiuti che non dispensano per niente dal dono del discernimento che Dio distribuisce nella misura da lui voluta, ma che l’uomo può più o meno sviluppare attraverso la messa in atto d’opportune azioni, iniziative, accorgimenti e, soprattutto, esercizi ed esperienze spirituali. Nulla potrà mai sostituire questo lavorio personale del giovane per crescere nella capacità di discernere, per sviluppare il dono del discernimento che come un seme – anche se piccolissimo – il Signore probabilmente gli ha già comunicato con il Battesimo. Guai all’accompagnatore e, di riflesso, anche al giovane, se al metodo del discernimento danno tale peso da dimenticare che esso è soprattutto un’arte e, prima ancora, un dono dall’Alto di Dio piuttosto che una conquista dell’uomo dal basso: ci sarebbe il pericolo di cadere in un sottile e spietato fariseismo e legalismo che allontanerebbe in maniera diametralmente opposta dalla libertà e dalla verità, e impedirebbe di cogliere la scelta e la decisione come vocazione di Dio oppure, ancor più facilmente, impedirebbe di arrivare a fare un’autentica scelta. Questo fatto finirebbe per rendere il giovane prigioniero della situazione o schiavo della legge del “si fa così” proprio della moda, proprio tutto il contrario di quello che il discernimento vuol essere, cioè una pedagogia spirituale della e alla vera libertà del figlio di Dio.

e) Cammino graduale a partire dal concreto…  
La legge della gradualità, che deve marcare il movimento del discernimento in ordine alla scelta dello stato di vita, non è solo un’esigenza che riguarda lo sviluppo dell’attuazione del metodo, ma anche la presentazione dei contenuti che l’accompagnatore saggio saprà offrire al giovane che si rivolge a lui per essere aiutato nella ricerca della volontà di Dio circa lo stato di vita da scegliere per la propria esistenza.
Prima di addentrarsi nel lavorio diretto ed esplicito della ricerca, il giovane ha da preparare scrupolosamente il terreno. Non solo per percepire i dati, ma anche per discernere e scegliere in modo autenticamente spirituale, c’è l’esigenza e la necessità di identificare bene, con esattezza, dove concretamente egli si trovi. Il cammino della ricerca della volontà di Dio è un percorso pedagogico nel quale Dio, il gran pedagogo, per portare l’uomo a conoscere e ad abbracciare la propria vocazione, lo va a cogliere là dove questi si trova: nella situazione di peccato e di debolezza come ha fatto con il popolo d’Israele. Di qui l’importanza di cogliere non solo il proprio io ideale, ma prima di tutto il proprio io attuale. Certamente questa conoscenza ingenera tensione, perché nessuno vorrebbe cogliersi diverso da quello che concretamente vorrebbe essere. La coscienza della distanza tra i due poli e del proprio peccato richiama, inoltre, la necessità di una conversione e di una purificazione del cuore. Quest’ultima è richiesta anche per altri due motivi: 1° per discernere bisogna avere occhi puri: vede il vero chi è nel vero; 2° per acquisire in modo vitale, proprio attraverso la meditazione sui propri peccati, i grandi criteri di giudizio di Dio, come in altre parole Dio giudichi il peccato e il peccatore, e insieme per cogliere la differenza tra giudizio di persona e giudizio di verità, e acquisire il senso vero e l’esperienza vitale della misericordia di Dio e dell’Amore che discende dall’Alto e propriamente fa discernere.          
L’esigenza di concretezza che spinge ad andare oltre la legge, come dovrebbe essere nel desiderio di chi si mette alla ricerca dello stato di vita come Vocazione dall’Alto di Dio, oltre alla conversione dal peccato allo stato di grazia, comporta anche un passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento, dal regime della legge al regime della libertà del figlio di Dio e dello Spirito, da un’impostazione della vita rigidamente morale ad un’impostazione spirituale e quindi personalizzata, senza, però, cadere nel relativismo o nel soggettivismo morale.
Si tratta di passare da una visione “terreno-centrica” ad una cristo-centrica, al rapporto interpersonale con Cristo, all’imitazione di Lui e, quindi, a conoscerlo, ad amarlo internamente e a seguirlo sempre di più. Anche nell’esercizio di preghiera, che deve accompagnare il processo di ricerca della volontà di Dio e il cammino verso la maturità umana e spirituale, s’impone al giovane di essere educato dall’accompagnatore a passare alla contemplazione evangelica, dopo aver percorso i passi della via purificativa e di una preghiera più discorsiva poggiata soprattutto sull’impiego della memoria, dell’intelletto e della volontà. Senza contemplazione della persona di Gesù, senza la dimensione contemplativa della vita, non si può dare discernimento spirituale. Si rimane facilmente imprigionati nel “fare” e nell’“apparire”, e difficilmente si arriva a cogliere il proprio essere nella luce di Dio e della fede.

f) …e per scelte successive
Per giungere alla scelta dello stato di vita definitivo, si deve dare, pertanto, una gradualità anche nelle scelte da operare. Alla scelta dello stato di vita si arriva passando attraverso varie scelte gerarchicamente e ordinate secondo una chiara successione. Personalmente ritengo che il rispetto della gerarchizzazione delle scelte costituisca una delle grandi difficoltà che i giovani oggi incontrano nella scelta del proprio stato di vita e sulla quale purtroppo si arenano tanti processi di discernimento che non arrivano a compimento, lasciandoli nell’incertezza e costretti a far slittare la decisione finale fino a quando essa non si ponga come dura necessità esistenziale. In tal modo, però, la decisione finirà per essere più subita che effettivamente scelta e amata in modo libero e responsabile. Si danno tre scelte fondamentali da salvaguardare in un ordine preciso e costante:
La scelta di Cristo: è la scelta del CHI. Si tratta della scelta di seguire Cristo, di servirlo e di diventare suo discepolo e collaboratore, assumendo fino in fondo le esigenze del battesimo.
La scelta dello stile di Cristo: è scelta del COME. Si tratta di scegliere lo stile proprio di Cristo, quello evangelico a noi noto attraverso le Scritture. Oggi si vuol seguire Cristo: ma qual è il Cristo che io seguo o voglio seguire? Quante persone pensano di essere discepole di Cristo, ma, di fatto, seguono un Cristo che è proiezione della propria cultura o della propria visione di vita costruita prima di incontrare Cristo in verità. In tal modo, in pratica, finiscono per seguire se stessi illudendosi di seguire Cristo: qual è il vero Cristo? Questo è il vero problema d’oggi. Non lo si può eludere, se non vogliamo cadere anche noi in un cristianesimo marxista, o borghese, o antiborghese, persino ebraico e ateo, oppure nel più comune “Cristo sì, Chiesa no!” di tanti nostri contemporanei.
La scelta dello stato di vita: è la scelta del CHE COSA in concreto fare per Cristo e il Suo Regno nel mondo a servizio della Chiesa. Si tratta di conoscere, per poi amare e abbracciare, quello stato di vita nella Chiesa e nella società nel quale possano rendersi testimoni di un particolare aspetto o dimensione della vita del Salvatore e della Sua missione, che continua ancora oggi nel mondo.
CHI – COME – CHE COSA: l’ultima scelta concreta ed esistenziale, quella del “che cosa fare qui e oggi?”, la scelta dello stato di vita, deve essere vista come un’incarnazione, direi come un sacramento, della scelta del “come” e, prima ancora, del “chi”. Tante volte il Signore non fa capire il “che cosa”, perché non si è ancora scelto con decisione il “come”. La spiritualità sta dalla parte dell’avverbio piuttosto che dalla parte del verbo o del sostantivo: non importa tanto quello che si fa, quanto piuttosto come si fa. La spiritualità è una questione di stile! Analogamente è impossibile un vero “come” evangelico senza la scelta fondamentale del “chi”, della persona che si ama e da cui si è amati, se non partendo dalla persona di Cristo, se non – in ultima analisi – in un contesto d’amore e relazione interpersonale.
Pertanto, se non si è innamorati di Cristo, ogni altro amore – fosse quello per la chiesa o per un ragazzo o una ragazza, per un’impresa, per i poveri, per gli ammalati, per gli emarginati ecc… - non è salvifico o, almeno, non può essere vissuto come vocazione e, soprattutto, non può conseguentemente essere scelto come un qualcosa d’immutabile e di perpetuo in pienezza di libertà e di responsabilità.
Relazioni fondamentali

Nel cammino verso la maturità umana e cristiana, insieme alle chiarificazioni, agli atteggiamenti da favorire e alle attenzioni privilegiate di metodo, deve essere attribuito un ruolo decisivo e importante anche alle relazioni tra le persone che entrano in gioco. Fondamentalmente si tratta, come abbiamo visto e possiamo facilmente intuire, di un cammino di discernimento. Diamo per scontato che esso abbia, pertanto, nello Spirito Santo il suo principale attore e protagonista e che, dunque, per l’accompagnatore e il giovane le relazioni con Lui siano prioritarie rispetto a qualunque altra relazione. Qui vogliamo, tuttavia, limitare la nostra considerazione prevalentemente ad alcune altre relazioni fondamentali nella costruzione di un cammino di maturità pienamente autentico, senza le quali la più scrupolosa attenzione alle procedure tecniche e la più concentrata fedeltà alle tappe previste del cammino di crescita inutilmente ne potrebbero garantire un successo e un esito positivo.

a) Relazione con la Chiesa
Il giovane, che sceglie lo stato di vita secondo la volontà di Dio e il bene profondo della sua stessa persona, non è il solo destinatario della vocazione del Signore. Essa «è anche un dono per l’intera chiesa, un bene per la sua vita e la sua missione» . Questo dato pone sia l’accompagnatore sia il giovane in una necessaria relazione di comunione con la Chiesa. È vero che ogni vocazione viene da Dio ed è dono di Dio; ma è anche vero che questo non si attua al di fuori e indipendentemente dalla Chiesa. Essa è, prima di tutto e di tutti, la «generatrice e educatrice di vocazioni. Lo è nel suo essere di “sacramento”, in quanto “segno” e “strumento” in cui risuona e si compie la vocazione di ogni cristiano; e lo è nel suo operare, ossia nello svolgimento del suo ministero di annuncio della Parola, di celebrazione dei Sacramenti e di servizio e testimonianza della carità» .
Pertanto, è importante che la guida sviluppi in se stesso una coscienza sempre più acuta del senso ecclesiale della propria attività. Essa deve essere condotta in modo che appaia sempre di più come parte di un impegno corale di tutta la Chiesa e, pertanto, come collaborazione ad un servizio comune che vede coinvolti con la loro attività anche altri soggetti ecclesiali . L’accompagnatore è chiamato ad espletare la sua azione con la convinzione che la vocazione alla quale è chiamato il giovane non solo deriva dalla Chiesa, ma si realizzerà nella Chiesa e a vantaggio della Chiesa stessa. Per questo deve sentirsi sempre più strumento di Dio e della Chiesa, cercando di assicurare in se stesso, per primo, quella positiva inclinazione affettiva verso la Chiesa considerata concretamente com’è, senza indebiti tagli alla sua dimensione istituzionale o dissimulazioni circa i suoi limiti e difetti.
A questa stessa coscienza e al “sentire cum Ecclesia et in Ecclesia” è molto importante e decisivo che progressivamente sia educato il giovane affidato alle sue cure. Questo non potrà non favorire in entrambi quella fiducia nell’azione formatrice di Dio attraverso lo Spirito e nel Magistero della Chiesa. Sarà proprio questa fiducia che, nel dare respiro e serenità alla loro azione e a tutto il loro spirito, permetterà loro di gustare internamente la gioia di sentirsi umile servitore e di restare in comunicazione costante con gli altri formatori e educatori.
Proprio questo “sensus Ecclesiae”, infatti, aiuterà l’accompagnatore a percepire e a vivere che il cammino di maturazione verso la libertà e maturità umana ha come protagonisti e soggetti attivi non solo lo Spirito Santo, primo di tutti in assoluto, il giovane, primo tra i soggetti umani, e se stesso, ma anche altre persone con le quali non può non fare i conti e con le quali necessariamente, anche se in maniera più o meno esplicita, dovrà entrare in relazione. Penso al futuro coniuge, alle rispettive famiglie d’origine, ai parenti, amici e conoscenti vari per chi è in cammino verso il matrimonio; penso alla diocesi, al Vescovo, al presbiterio e ai compagni candidati al sacerdozio per chi è orientato alla vita presbiterale; oppure penso all’Istituto o Congregazione religiosa, ai Superiori Maggiori, ai singoli membri concreti dell’Istituto nel quale vuole entrare per chi pensa di abbracciare lo stato di Vita Consacrata. La guida che ignorasse le relazioni di sé con queste molteplici persone e realtà e, soprattutto, non introducesse il giovane alla ricerca dello stato di vita in quest’ampio campo di relazioni, oltre a non offrire gli aiuti necessari, porrebbe uno scarso fondamento al cammino di maturazione umana e spirituale, compromettendone l’esito corretto.   

b) Relazione fra direttore spirituale e accompagnatore
Tra le particolari relazioni che all’interno della chiesa l’accompagnatore e il giovane vengono ad imbattersi e che possono talora fare problema o aprire interrogativi ad entrambi, vorrei fare almeno un breve cenno a quelle che sorgono dalla distinzione tra direttore (o padre) spirituale e accompagnatore . Questo ci permette di precisare meglio il termine “accompagnatore”, finora usato unicamente in maniera approssimativa e non specifica.

* Problematica. L’esperienza insegna – e contro il fatto non c’è che il matto – che talora accompagnamento alla scelta dello stato di vita e direzione spirituale per il giovane in cammino strettamente vocazionale non hanno come punto di riferimento la stessa persona. Forse a più di uno dei lettori si sarà presentato il caso di accompagnare nella scelta dello stato di vita un ragazzo che già era aiutato e seguito da un direttore spirituale; oppure, viceversa, di essere chiamato ad instaurare una relazione di direzione spirituale con un giovane a lui indirizzato proprio dall’accompagnatore vocazionale che si sentiva a buon ragione inadatto ad espletare il compito e la missione di direttore spirituale. Spesso con troppa semplicità e superficialità si è voluto sostituire la figura di direttore o di direttrice spirituale con quella dell’accompagnatore o accompagnatrice vocazionale. Non è solo per l’influsso di certe teorie filosofico-psicologiche più recenti maturate soprattutto negli ambienti dei seguaci e discepoli di Karl Rogers che si è fatta strada l’idea di sostituire il termine “direzione spirituale” con quello di “accompagnamento psicologico”. Ad essa hanno contribuito anche psicologi d’altre scuole e, soprattutto, gli operatori della pastorale della vocazionale, che hanno finito per trasmettere un’interpretazione riduttiva della direzione spirituale. Ponendo, infatti, il “princeps analogatum” della direzione spirituale in quella esercitata durante il periodo della ricerca dello stato di vita, facendo quasi della scelta di esso il culmine di tutto il lavorio e del cammino del giovane con la sua guida, anche la direzione spirituale, non diversamente dall’accompagnamento psicologico o psicoterapeutico, veniva ad essere un’esperienza temporanea. Come conseguenza si verificava lo spostamento dell’obiettivo principale della direzione spirituale dalla crescita nella capacità di discernimento spirituale - che rimane sempre suscettibile di una continua maturazione fino alla morte, sia perché l’uomo rimane sempre in cammino per ulteriori progressi nella storia attraverso nuove esperienze, sia perché lo Spirito Santo sempre più e sempre meglio fino all’ultimo può aprire all’individuo orizzonti nuovi e presentarsi con un volto, per discernere il quale per ogni uomo può facilmente essere necessario l’aiuto di una guida – alla scelta particolare e definitiva dello stato di vita. L’interpretare, poi, la natura della direzione spirituale a partire dalla direzione spirituale vissuta nel tempo della ricerca e della maturazione della scelta del proprio stato di vita, proprio in opposizione ai desideri dei fautori di tale posizione, ha fatto cadere nell’inconveniente di una maggiore direttività nell’offerta di aiuto da parte di molti giovani sacerdoti, soprattutto, ma anche di religiosi e religiose, a causa di un comprensibile processo proiettivo della direzione spirituale ricevuta durante la loro formazione considerata come la forma di direzione spirituale più genuina e autentica, ma necessariamente carica di aspetti più istituzionali proprio in ragione della maggiore ufficialità della loro persona nella chiesa.
Oltre a questi motivi, altri di carattere più strettamente pastorali mi sembrano che raccomandino dal punto di vista teorico, ma talora possano raccomandare anche da un punto di vista più strettamente pratico e pastorale, la distinzione tra direzione spirituale e accompagnamento. Anche i più recenti documenti del Magistero della Chiesa sembrano affermarlo . Non sembra per niente opportuno che la necessità della presenza di una persona (= accompagnatore in senso specifico) che accompagni il giovane al noviziato o al seminario , venga a cancellare o a rendere meno opportuno il prosieguo del cammino con chi (= direttore spirituale) fino ad allora, cioè fino al momento in cui si impone più esplicitamente lo specifico discernimento circa lo stato di vita, lo aveva aiutato nell’itinerario di fede verso una maturità umana e spirituale sempre più completa.

* Diversità di funzioni. La distinzione delle funzioni del direttore spirituale e dell’accompagnatore, inteso ora in senso specifico, si è andata abbastanza chiarificando nella chiesa, anche per l’influsso dell’insegnamento magisteriale di Giovanni Paolo II, solamente nell’ultimo decennio. Mentre alla figura del direttore spirituale viene riservato tutto il campo del cosiddetto foro interno non sacramentale, o meglio l’ambito della coscienza nella sua interezza , a quella dell’accompagnatore è affidato in modo specifico e proprio quello delle informazioni e delle conoscenze relative al carisma dell’Istituto o della Congregazione o della Diocesi verso cui il giovane è orientato, e l’iniziazione a quelle esperienze che possono offrirgli i dati necessari per il discernimento che egli è chiamato a compiere in ordine alla scelta dello stato di vita.
Non si può pretendere che il direttore spirituale, per prestare il suo aiuto efficacemente, abbia sempre, in tutti i casi, una conoscenza sufficiente dell’Istituto o della diocesi verso cui il giovane gli sembra essere chiamato. Quand’anche poi egli possedesse una conoscenza profonda dell’Istituto o della diocesi, pur non essendo membro né della Congregazione, né, qualora fosse sacerdote, del corpo presbiterale dei sacerdoti incardinati , gli mancherebbe sempre quella conoscenza sapienziale che nasce dalla connaturalità con quel dono della vocazione specifica che il Signore sembra aver rivolto al giovane, e dalla partecipazione ad esso. In concreto potrebbe verificarsi il caso di un sacerdote direttore spirituale di una ragazza chiamata ad un Istituto di Vita consacrata femminile; oppure, il caso di un sacerdote diocesano direttore di un ragazzo chiamato ad una Congregazione religiosa; oppure anche, alla rovescia, il caso di una suora direttrice spirituale di un giovane chiamato al sacerdozio o alla vita religiosa sia come sacerdote, sia come fratello. In tutti questi casi ben venga la presenza di un membro della Congregazione o del corpo presbiterale dei sacerdoti incardinati che affianchi l’azione del direttore o della direttrice spirituale nel discernimento del/della giovane che lo/la porterà alla scelta di entrare in Seminario o in Noviziato come primo passo verso una precisa e definitiva scelta dello stato di vita. Nel cammino di maturazione della scelta che segue, nella formazione iniziale, la chiesa solamente nel caso del candidato al sacerdozio esprime, in modo esplicito e chiaro, la sua volontà che sia insignito dell’Ordine sacro colui che l’accompagna spiritualmente . Per analogia verrebbe spontaneo ritenere che la stessa norma pedagogico-spirituale dell’identità carismatica tra direttore e diretto dovrebbe pure valere anche nei Noviziati e nelle case di formazione delle diverse Congregazioni, quelle femminili comprese. Vediamo, però, purtroppo, che questo è ampiamente disatteso, soprattutto negli Istituti di Vita Consacrata femminili. Il pregiudizio che la guida spirituale debba essere un prete è ancora fortemente radicata in molte parti del mondo. Non sembra sufficiente la giustificazione, talora adotta, della necessità o forte convenienza di identità di persona tra il direttore spirituale e il confessore, che sarà sempre un sacerdote, perché spesso più o meno coscientemente essa è invocata quale espediente per nascondere spinte clericali o addirittura maschiliste. Constatiamo, però, che questo pregiudizio di fatto produce il danno ancora maggiore di scatenare reazioni di stampo femminista tendenti ad affermare il sacerdozio per le donne o, almeno, la possibilità, quando non anche la convenienza o addirittura la necessità, che i seminaristi siano guidati spiritualmente da donne, consacrate o buone mamme di famiglia.

* Unità d’indirizzo. L’esperienza mostra che in alcuni casi, da parte del direttore stesso unitamente alla persona diretta, è richiesto l’aiuto di un accompagnatore, non, però, come nei casi finora contemplati, cioè per una messa a punto più precisa degli aspetti specifici della vocazione che riguardano più propriamente la dimensione carismatica dell’appartenenza ad un Istituto di Vita Consacrata o dell’incardinazione in una determinata chiesa particolare, bensì come semplice verificatore del processo di discernimento condotto da entrambi insieme, dal direttore spirituale e dal giovane. Anche se si tratta di un caso molto raro, credo che valga la spesa segnarlo per confermare come le funzioni di direttore spirituale e di accompagnatore possono essere talmente distinte da presentarsi talora come addirittura separate. Certamente è questa una soluzione di ripiego, perché ci si augurerebbe che il direttore spirituale dovrebbe già essere capace, in quanto tale, di controllare e regolare il discernimento del diretto, senza bisogno di ricorrere ad una terza persona. Tuttavia questa soluzione potrebbe anche essere vista con occhi positivi, perché potrebbe essere dettata da una atteggiamento di umiltà autentica propria di chi, sentendosi ancora giovane e ai primi passi nel ministero della direzione spirituale, giudica necessaria una supervisione del proprio operato da parte di una persona esterna competente e di maggiore esperienza.
Analogo discorso potrebbe essere fatto a proposito del ricorso all’aiuto dello psicologo o dello psicoterapeuta. Esso potrebbe rendersi necessario o sommamente conveniente, non perché ci si trovi davanti a casi patologici, ma semplicemente perché la guida spirituale umilmente riconosce di non sentirsi sufficientemente preparato e competente in questa materia che, d’altra parte, giustamente ritiene almeno utile per un aiuto più preciso ed efficace da offrire al giovane.
In questi ultimi casi la figura dell’accompagnatore si pone come aiuto più esterno rispetto a quello offerto dal direttore spirituale, anche se, limitatamente ad alcuni aspetti della vita del giovane, non si può dire che egli si mantenga ad un livello di solo foro esterno e nemmeno si può dire che sia secondario o meno importante. E’ semplicemente diverso!
Questa diversità deve essere, però, gestita sapientemente, per non indebolire l’unità di vita del giovane. Perché possa camminare efficacemente verso la maturità, si richiede un’autentica integrazione tra gli apporti dei diversi soggetti attivi nel lavorio di ricerca della scelta dello stato di vita definitivo. Direttore spirituale e accompagnatore, come del resto direttore spirituale (o accompagnatore) e psicologo (o psicoterapeuta), non solo non devono ostacolarsi offrendo aiuti che il giovane, percependo come contraddittori, sarà costretto a scegliere in modo alternativo, ma positivamente devono anzi rafforzarsi vicendevolmente. Questo sarà tanto più possibile e agevole per lo stesso interessato, al quale in ultima analisi spetta di operare nel profondo del proprio cuore l’integrazione tra i diversi aiuti ricevuti, se direttore e accompagnatore, oltre a salvaguardare le proprie competenze specifiche e a rispettare quelle altrui con fiducia piena, saranno liberati dal giovane dai segreti ai quali saranno tenuti in forza della conoscenza dei dati interiori o saranno stati a loro confidati come tali in modo esplicito. Un lavoro concordato insieme tra direttore e accompagnatore secondo gli auspici dello stesso giovane si rivelerà fecondo di bene ed efficace per il suo cammino di maturazione e di scelta, analogamente a quanto capita nel caso di un consulto tra medici di fronte al malato bisognoso di cure specialistiche differenziate.

Molte altre considerazioni potrebbero essere esplicitate a proposito delle relazioni tra il Direttore spirituale, l’accompagnatore, lo psicologo o lo psicoterapeuta in un modo più dettagliato e particolare. Ci difende dalla tentazione di addentrarci in questo ampio campo di ricerca, abusando ulteriormente dello spazio concesso dalla Rivista, non solo la coscienza del pericolo di cadere nel genericismo o di ripetere dati ormai triti e scontati, ma soprattutto la certezza, oltre che l’augurio, che il tema di queste relazioni saranno oggetto di riflessioni e contributi di altri autori sulle pagine di questa Rivista.
Similmente potrebbero essere pure richiamati il ruolo e la responsabilità di molti altri soggetti attivi nel cammino del giovane verso la maturità, in particolare quelli della famiglia d’origine, e dei gruppi, movimenti e associazioni in seno alle quali può prendere corpo e maturare la scelta dello stato di vita definitivo. Queste realtà si rivelano spesso campi particolarmente fertili per la vocazione e luoghi appropriati e privilegiati di proposta e di crescita verso la maturità . Le relazioni, che non solo il giovane ma lo stesso direttore o accompagnatore spirituale può instaurare con queste realtà comunitarie, aprono il campo a numerosi problemi che ancora una volta, secondo i limiti che ci siamo imposti, ci accontentiamo solo di indicare e segnalare, senza voler minimamente affrontare, anche se riconosciamo che pure esse possono offrire un notevole contributo per la crescita personale del giovane.
Infine, per lo stesso principio dei limiti che ci siamo dati, in particolare di attenerci ai criteri generali per impostare un progetto di crescita personale piuttosto che descrivere un programma dettagliato di norme o di azioni da attuare, non affrontiamo nemmeno il discorso circa i requisiti minimi per l’entrata in Seminario o in Noviziato, e circa i contenuti e i mezzi più particolari  di una sana pastorale vocazionale, che aiuti efficacemente la maturazione della libertà della persona attraverso la scelta specifica dello stato di vita definitivo.     
Ci basti solo aver attirato l’attenzione del lettore su temi che questa Rivista gli permetterà di approfondire con tranquillità e pace.

Penso che l’analisi sopra condotta possa rendere ancora una volta più convinto il lettore come, nell’accompagnamento verso la maturità, le realtà interiori della persona che svolge il ruolo attivo di aiuto nei riguardi del giovane siano di maggiore importanza che le idee o i contenuti trasmessi. Per questo l’accompagnatore dovrà avere cura di formarsi, dentro di sé, una sintesi umano-spirituale personale e al tempo stesso ben radicata nell’oggettività per essere efficacemente comunicabile alla persona accompagnata, insieme con la capacità di riuscire a non trasferire le proprie difficoltà su di essa, intralciandone il normale sviluppo verso un’autentica maturità umana e cristiana. In particolare tanto più sarà efficace la sua azione a vantaggio del giovane, quanto più in maniera esistenziale e non solo nozionistica avrà saputo sfruttare al meglio gli apporti delle scienze antropologiche, della psicologia soprattutto, attraverso la mediazione della filosofia, e, soprattutto integrarli in una vita di fede fervorosa, vivendoli come complementari e mai come opposti a quelli offerti dalla Scrittura, dal Magistero, dalla riflessione teologica e dalle più interiori mozioni dello Spirito colte e interpretate attraverso un attento discernimento spirituale maturato nella preghiera.
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