Un pò di gentilezza


Editoriale
Tredimensioni 11(2014) 228


Le violenze, gli insulti, le sopraffazioni sono all’ordine del giorno e sembra che sia la voce grossa a fare di un politicante un vero politico, a trasformare un fanfarone in un profeta del domani migliore o a dare credibilità a chi non riesce a costruirsela per altre vie. Si tratta di comportamenti atavici, psichicamente primitivi, che risalgono ai nostri primi anni di vita e che rimangono in chi per molti suoi aspetti non è riuscito a procedere oltre. Il bambino, quando non ha più niente da dire si mette a gridare e quando non ha più argomenti credibili non gli resta che dire alla mamma: «sei brutta!». Ad un livello così basso di sviluppo l’emergere della gentilezza non è neanche pensabile perché, per sorgere, ha bisogno di un terreno psichico più evoluto, capace di far provare il sentimento sociale ossia la capacità di empatia verso gli altri. Infatti, la gentilezza non si esaurisce in questo o quel gesto garbato, di buona educazione, ma è un habitusche presuppone un cuore sensibile ai bisogni degli altri, generoso e premuroso. È una virtù, più che una questione di bon-ton. 

 

Si racconta di due scalatori che si arrampicavano su una strada impervia, mentre li flagellava un vento gelido. La tormenta stava per scatenarsi. Raffiche turbinanti di schegge di ghiaccio sibilavano fra le rocce. I due procedevano a fatica. Sapevano molto bene che se non avessero raggiunto in tempo il rifugio sarebbero periti nella tempesta di neve. Mentre con il cuore in gola per l’ansia e gli occhi quasi accecati dal nevischio costeggiavano l’orlo di un abisso, udirono un gemito. Un altro scalatore era caduto nella voragine e, incapace di muoversi, invocava soccorso. Uno dei due disse: «È il destino. Quell’uomo è condannato a morte. Acceleriamo il passo o faremo la sua fine». E si affrettò, tutto curvo in avanti per opporsi alla forza del vento. Il secondo, invece, si impietosì e cominciò a scendere per le pendici scoscese. Trovò il ferito, se lo caricò sulle spalle e risalì affannosamente il sentiero. Intanto imbruniva. Il cielo era sempre più oscuro. Sudato e sfinito, anche per il ferito che portava sulle spalle, ad un certo punto il soccorritore vide apparire le luci del rifugio. Incoraggiò il ferito a resistere, ma all’improvviso inciampò in qualcosa steso di traverso sul sentiero. Guardò e non poté reprimere l’orrore: ai suoi piedi era steso il corpo del suo compagno. Il freddo lo aveva ucciso. Lui era sfuggito alla stessa sorte solo perché si era fermato a soccorrere. I loro corpi uniti e lo sforzo avevano mantenuto il calore sufficiente per salvargli la vita. 

La gentilezza fa bene a chi la fa, prima che a chi la riceve; come la neve non fa rumore; sa adattarsi all’inatteso che attraversa la vita. «Mi aspetto di passare attraverso la vita una volta sola. Perciò se voglio mostrarmi gentile o fare qualcosa di buono al mio prossimo, lo devo fare ora e non differire l’occasione o trascurarla perché non mi capiterà più un’altra volta» (Madre Teresa di Calcutta). 

Ma lo stadio del bambino che urla per niente deve essere stato superato e, nel frattempo, essersi formata nella psiche una chiara e consistente stima di se stessi e della propria bontà, la certezza di riuscire a dare affetto, il rispetto per gli altri. Cose che lo strillone non può provare.

 

Poi c’è il modo di parlare. Un discorso gentile non solo evita le urla ma anche la gentilezza da circostanza. «Per voi padre, ma con voi fratello…, siete tutti e singolarmente nel mio cuore…, il mio pensiero va a voi in modo particolare…». Ma come? Dopo queste parole, ci imbattiamo sulla porta e questo sedicente mio fratello neanche mi saluta? La gentilezza tiene conto della relazione e fa sentire che le proprie parole vogliono produrre una benedizione in favore degli altri e non una gratificazione narcisista per le proprie orecchie. «Le parole gentili non costano molto, ma realizzano molto» (Pascal). 

Spesso sono anche parole senza parole: considerare l’effetto delle proprie parole prima di parlare, non partecipare ai pettegolezzi, stare attenti a non diffondere malignità sugli altri, evitare rilievi brucianti, aiutare i poveri senza che loro se ne accorgano. La gentilezza è uno stile interiore che modella il modo di essere, parlare, muoverci, vestirci, gesticolare...

 

Che la gentilezza sia più delle buone maniere lo si capisce anche dal suo legame con il concetto di onorare che non significa fare grandi inchini al cospetto degli altri ma mettere le condizioni perché l’altro possa esprimersi e farlo al meglio. È gentile l'uomo che non solo rispetta sua moglie ma che la onora, ossia mette le condizioni perché sua moglie si esprima al meglio nella sua femminilità. È gentile il figlio quando non solo accetta il contributo dei genitori ma crea le condizioni perché loro lo diano al meglio. La gentilezza, così, non è affatto qualcosa di mellifluo ma si associa ad un sentimento di pretesa. Quel pretendere che é incitare l’altro a tirare fuori la propria originalità perché lo si avverte soggetto credibile e capace di produrre senso. Non pretendo che dia ciò che io voglio ma ciò di cui lui é veramente capace, che faccia il possibile per realizzare il positivo che io ho già intravisto in lui. L’atteggiamento di pretesa associato alla gentilezza é intermedio fra il rispetto come indifferenza e la costrizione come violenza. Allevare un bambino con tenerezza non significa lasciargli fare tutto ciò che vuole. 

 

Millina incontra una vecchietta che non mangia più. Le parla e la fa parlare per quel che può. Con un filo di voce la vecchietta spiega di avere dei figli, troppo indaffarati però per occuparsi di lei. Così non c’è più nessuno che venga a trovarla. Non ha una vera e propria malattia: è deperita perché non riesce più a mangiare, e non mangia più perché è deperita. Millina le propone un bel gelato. Ad ogni cucchiaino, adagio adagio, alla vecchietta ritornano il colorito, la voce, la vita. L’idea del gelato è geniale perché si tratta di un cibo facilmente assimilabile, ma l’idea è venuta a Millina perché si è presa a cuore quella vecchietta bisognosa non solo di cibo, ma soprattutto di cure, di amore, di attenzione: ciò di cui ognuno di noi ha bisogno, come dell’ossigeno. Prima ancora del gelato, la vecchietta ha ricevuto il calore della solidarietà attraverso un gesto di gentilezza che le ha fatto ricuperare le ultime forze ma ancora possibili.

Al principio e alla fine della nostra vita dipendiamo dalla gentilezza degli altri: perché non usarla anche nella parte restante della nostra esistenza?

 

Impariamo dalla natura. È gentile la neve che si posa sulle cose silenziosa e le veste di candore; è gentile la rugiada che si posa sull’erba senza piegarla; è gentile il tramonto che inonda il cielo di luce perché il giorno non abbia timore della notte che scende; è gentile la mano che coglie un fiore e non lo strappa; è gentile il cuore che risponde al bisogno dell’altro prima della domanda. La gentilezza è un pennello per dipingere di bellezza le persone che ci vivono accanto e ogni cosa che ci circonda.

 

Provate ad essere un po’ più gentili.

·       Quando iniziate una e-mailscrivete sempre il nome del destinatario e alla fine salutate con «a presto», «ti penso», «un caro saluto».

·       Inascensore non state in silenzio, chiedete come va e in base alla confidenza lasciatevi andare a qualche discreto complimento.

·       Se arriva un nuovo vicinoandate a dare il benvenuto con un bel dolce, soprattutto se ci sono bambini.

·       Se uscite sul balconenon fate finta di non vedere il vostro vicino, salutatelo e complimentatevi per le piante che ha sul terrazzo.

·       Se farete deilavori di ristrutturazione in casaavvertite i vicini, scusandovi per i disagi.

·       Chiamate lavostra amicache non sentite da tempo, state un’ora al telefono, come quando eravate ragazzine!

·       Comprate una piantina, semplice, portatela a vostra madre, sorella, nonna, suocera, senza aspettare il loro compleanno.

·       Alla postaesordite con un «buongiorno», sorridete e ringraziate. 

·       Sul treno o in aereo non fate a spintoni per salire per primi.

·       Praticate la gentilezza automobilistica.

·       Chiedete a chi abita con voi come è andata la giornata.

·       Se vedete una persona che fa fatica a portare le borse della spesa, aiutatela.

·       Ognuno in famiglia anticipi l’altro nei suoi bisogni e desideri della quotidianità.

«Sorriso, grazie, prego, mi scusi, per favore, molto gentile, le sta molto bene…» sono frasi che ci fanno già stare bene; usiamole anche con i nostri familiari, perché spesso siamo più gentili con gli estranei. 

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