Affetti e valori: i due pilastri del matrimonio


Editoriale
Tredimensioni 10(2013) 228-231



Le pene d'amore non risparmiano neanche i bravi ragazzi cristiani. 

«Ma come!? Sono così di chiesa e si sono separati?!». Eh sì! Anche i figli di brava famiglia si separano e si dividono. Purtroppo, l'adesione ai valori cristiani non è una garanzia contro il fallimento del matrimonio.

Perché? Una risposta non lontana dal vero: perché anche i bravi fidanzati e sposi cristiani vivono fuori fase. Non sanno, cioè, pigiare il tasto giusto al momento giusto. Così, nel momento della prova sono sguarniti alla pari degli altri. 

Ma quale tasto? e in quale momento? 

Due tasti: affetti e valori. Due momenti: fidanzamento e matrimonio. 

È ovvio per tutti che si sta insieme ed eventualmente ci si sposa per due fattori: volersi bene (affetto) per realizzare qualcosa che vale (ideale). Ma ciò che non è ovvio è che in fase prematrimoniale di progettazione la forza determinante è quella dei valori, in fase matrimoniale di attuazione la carta vincente è la capacità di intesa affettiva.In genere si pensa esattamente il contrario e, così, si va fuori fase. 

 

I fidanzati rimangono (troppo) assorbiti nello sfogliare la margherita con il dilemma «mi ami? Quanto mi ami?» e snobbano il compito di verificare se hanno le condizioni per fare un progetto comune (sposarsi a qual fine?) con la fatidica giustificazione che «l'importante è volersi bene». Ma se non si confrontano con un progetto, l'affetto è lasciato alla fortuna!

Gli sposati rimangono (troppo) assorbiti nel dibattere strategie di accordi con il dilemma «chi ha ragione? Quali sono i nostri ruoli?» e sorridono, alludendo al tempo che fu, se li portate sul terreno affettivo (quello che tanto assorbe i fidanzati e che invece dovrebbe attirare di più gli sposi). Ma se non si esercitano sull'affetto non c'è strategia che tenga!

Nella vita di coppia, ciò a cui si dà tanta importanza spesso non è determinante. Si vive sfasati rispetto a ciò che l'ora presente richiede.

  

Fidanzamento, tempo dei valori. Matrimonio, tempo dell'amore. 

Ciò che spinge a porre in essere la relazione sono i valori, ammessa naturalmente la presenza di affetto. Ciò che fa perseverare nella relazione non sono i valori comuni ma, ammessa questa condivisione, sono soprattutto gli affetti. 

Ci si sposa in forza dei valori, ma si rimane insieme in forza dell'amore. 

L'evento matrimonio non è un fatto formale, ma una linea di demarcazione fra un prima e un dopo e mette in essere qualcosa che prima non c'era. Si chiude il periodo della verifica (concordare un progetto comune) e si apre quello della attuazione (amarsi per sempre). Prima, c'è progetto e affetto. Dopo, c'è promessa ad attuare il progetto e affetto. Prima, in fase di fidanzamento, la forza motivante che ha più peso è quella progettuale dei valori condivisi. A matrimonio avvenuto, passa alla ribalta l'effettiva capacità d'intesa che le persone sono in grado di raggiungere. 

Ci si sposa per coronare i propri ideali. 

Si rimane nel matrimonio se ci si vuol bene. 

Evidentemente si tratta di tendenza di prevalenza che presuppone la influenza di entrambi i fattori in tutte due le fasi. 

 

Per smascherare i falsi amori

I fidanzati devono controllare di che tipo è la loro relazione. Iniziata per una avvertita sintonia reciproca, ora devono verificarla: infatuazione, innamoramento, capacità di restare nell’amore...? Per togliere l'equivoco alla parola amore devono verificarsi nella capacità di elaborare un progetto comune. È possibile (prudentemente) concludere che il loro amore contiene elementi di affetto perseverante se ognuno di loro, sollecitato dalle sensazioni ed emozioni, sa cogliere il tu e la ipotizzata relazione con il tu non come un bisogno utilitaristico egocentrico ma come un valore in sé: nell’altro colgo un progetto da realizzare con l’altro.

Questa capacità di condividere dei valori e ritrovarsi in un progetto comune smaschera i falsi o solo proclamati amori. 

La ragione più convincente per continuare il fidanzamento non è il volersi bene ma, ciò presupposto, è l'intenzione (amorosa) di realizzare un fine comune che si è riuscito ad intravedere. 

 

Due fidanzati fanno bene a lasciarsi se si accorgono di non amarsi, ma fanno benissimo se l'affetto non sa concordare un progetto comune.

Non è molto conveniente fondare la decisione di sposarsi sul fatto di volersi bene senza verificare se davvero si è capaci di concordare sul progetto famiglia. Sarebbe un passo a rischio perché il biglietto di ingresso al matrimonio è, oltre all'intesa, l'accettazione di valori condivisi.

Ma anche gli sposi non devono essere fuori fase. Se vogliono rimanere in sintonia con il loro oggi, devono fare ciò che da fidanzati sarebbe stato facile da fare ma allora non così importante come oggi: parlarsi del loro amore. Sono sposi a rischio, se, con gli anni, danno per scontato l'affetto, non se lo raccontano più e giocano la relazione in termini di ideologie contrastanti. 

 

Vivere fuori fase. Ecco il problema. Non diciamo ingenuamente: da giovani pensavamo che l'amore dissolve ogni differenza mentre oggi pensiamo che la differenza dissolve l'amore. Non è qui il punto: è che nelle due fasi si sono invertiti i fattori forza tipici ad ognuna.

 

Anche i cristiani sono come gli altri. I valori (anche quelli cristiani) sono la porta di accesso al matrimonio ma non sono garanzia di perseveranza! Non bastano per far durare una relazione. La perseveranza si gioca sulle effettive capacità di tenuta affettiva. 

Non ci si può rassicurare sul futuro matrimonio di una coppia adducendo il fatto che sono ragazzi bravi, religiosi, di buona famiglia. Se ci si sposa in forza di un ideale, la perseveranza non è garantita dall'ideale. Si entra nella relazione per un progetto ma ci si rimane per esercizio di affetto.

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