Vizi privati e pubbliche virtù


Editoriale
Tredimensioni 10(2013) 1-8



I malfattori sono sempre esistiti: quelli che prendono come esplicito criterio di azione l’imbroglio e la corruzione. Almeno, loro, hanno fatto una scelta, la sanno esplicitare e restano ligi ad essa. 

Meno «galantuomini» sono quelli che si rifanno - da sottolineare: in modo convinto e non per finta - ai valori e proprio in nome di quelli organizzano i loro loschi traffici. Si tratta di quelle persone che proprio mentre proclamano e si danno da fare - onestamente e con grande dispendio di energie - per affermare e concretizzare i valori che stanno alla base della vita buona, in contemporanea fanno intrallazzi di vario genere. La cronaca è piena di esempi: paladini pubblici dei valori e della «pulizia» accumulano a casa loro un sacco di refurtiva e quando vengono scoperti continuano –convinti- a farsi paladini dei programmi di pulizia salvo il fatto che dopo pochi mesi troviamo a casa loro nuova refurtiva, accumulata proprio mentre continuavano a fare i proclami su cui erano e sono disposti a giurare. Lo sconvolgente è la dedizione in contemporanea su due fronti.

 

Cosa succede? Non abbiamo a che fare con malfattori di professione ma neanche con redivivi Dr. Jekyll e Mr. Hyde. Non siamo di fronte alla vecchia formula dello sdoppiamento di personalità, della doppia vita, dei «virtuosi di giorno e viziosi di notte». In certi casi, i due lati – adesione ai valori e imbroglio – non si alternano, non agiscono separati l’uno dall’altro ma si sostengono a vicenda per cui è l’adesione stessa ai valori che sostiene l’imbroglio e se venisse a crollare l’adesione ai valori anche l’imbroglio perderebbe il suo sostegno. 

Tanto per sbirciare in casa altrui: in qualche caso, senza la confessione di fede ai valori non negoziabili non sarebbe possibile negoziare altre cose. Questa regola la conoscono bene quei politicanti che ci tengono a passare per i paladini dei valori e a fare ammiccamenti con le persone e le istituzioni che anche il senso comune identifica come paladine dei valori: lo fanno per schieramento ideologico convinto, ma anche in obbedienza alla regola pratica che questo versante valoriale permette meglio di continuare ad imbrogliare e perderlo significherebbe anche perdere opportunità di imbroglio. 

Ma anche a casa nostra si può riscontrare l’uso della proclamazione della fede come porta di accesso all’imbroglio. Pensiamo ad esempio, ai non rari casi di congregazioni religiose che si sentono tradite dai loro fondatori o superiori perché scoperti autori di varie corruzioni, sessuali, economiche o di potere. Alcuni di questi fondatori vantavano anche visioni mistiche e quasi tutti sono persone di grande carisma e che hanno avviato opere imponenti e diffuse nel mondo. I loro misfatti non possono squalificare anche le loro virtù testimoniate in modo inconfutabile dalle loro opere e dalle loro intuizioni profetiche. Neanche si può ricorrere alla spiegazione dello sdoppiamento di personalità o della doppia vita perché se si va a vedere come sono andate le cose non c’è stata una doppia vita ma un’unica vita giocata in contemporanea su più tavoli.

 

Una lettura possibile è quella che dice che in questa patologia si è realizzato un intreccio fra carisma e corruzione e che senza il primo non si sarebbe realizzata neanche la seconda. Il carisma, senza perdere il suo valore, è a rischio di corruzione mentre il contrario è meno sostenibile. Questa lettura dice che se un fondatore o un superiore ha potuto abusare delle sue suore o dei suoi frati è anche stato per la sua forza carismatica di fondatore senza la quale non sarebbe bastata la sua forza erotica per tenere soggiogate tante persone, per tanto tempo e in contemporanea. È un’impresa che l’ultimo frate della comunità a stento riuscirebbe a sostenere. 

Intreccio fra carisma e corruzione: non è l’alternanza né la scissione fra le due, ma la contemporaneità delle due facce che sconvolge. È un connubio che si realizza e si consolida quanto più cresce il potere. Mentre con la voce sto rilasciando l’intervista sulla irrinunciabilità di certi valori, con l’orecchio sto ascoltando al cellulare il faccendiere di turno che mi aggiorna sugli ultimi intrallazzi comuni. Qualche anno fa c’era un film dove si vedeva un prete che, dismessi i paramenti liturgici, indossava indumenti di cuoio per andare a frequentare ambienti sado-maso. Questo è ancora un caso di patologia scissa; invece, la patologia di cui stiamo parlando è servirsi dello stesso paramento liturgico per mettere in atto certi azzardi e può capitare che il prete usi proprio il suo essere prete come elemento di fascinazioni non proprio da prete. Agisco in contemporanea su due canali. Non è che mi tolgo il vestito bianco della festa per passare a quello dell’intrallazzatore, ma faccio l’intrallazzatore proprio con il sostegno e l’ausilio del vestito bianco che, dunque, curo con amore e diligenza altrimenti anche l’altro non saprebbe più come sostenersi. 

 

Non stiamo parlando del malfattore ma neanche dell’allegro imbroglione. Nei corrotti di cui stiamo parando, l’adesione ai valori non è una falsità, una copertura, una finzione, un presta-nome. Infatti è talmente convinta che può produrre opere valide e profetiche intuizioni. Stiamo parlando di persone che ci credono, di uomini che la fede l’hanno conservata. Ciò che hanno perso non è la fede ma il senso della vulnerabilità umana e la fede la tengono, anche tanto e forse troppo, ma come evidenza che la debolezza umana (almeno la loro) è stata debellata.

Si tratta di una identificazione narcisista nel senso che fa credere di aver superato la fase della ambivalenza umana che, invece, rimane anche in ogni credente. Il credere fa credere di essere dalla parte giusta, in una specie di stato escatologico, lontano da chi invece l’impegno lo deve ancora custodire, difendere, verificare perché sempre a rischio di corruzione. L’adesione ai valori come baluardo dall’inceppare ancora nella vulnerabilità mette nella categoria degli esenti, in una condizione mentale dove la questione della debolezza è superata e – dunque – dove anche l’ipotesi della trasgressione futura non è neanche da prendere come ipotesi. Da qui la mancanza di senso di colpa per le due attività in contemporanea, l’incapacità di imparare dagli errori passati e la loro reiterazione clamorosa. 

Quando la fase carismatica di un movimento (religioso, politico o culturale) enfatizza questa sua eccellenza e originalità di carisma, intesa come librazione dalla inevitabile ambivalenza umana, è probabile che la sua fase successiva sia ad alto rischio di corruzione. Lo stesso dicasi per certi programmi di formazione troppo irenici, per neofiti eccessivamente entusiasti o per fidanzati eccessivamente innamorati.

 

Il grande vantaggio di questa posizione blindata è l’esonero dal farsi un esame di coscienza. Se l’ambivalenza creaturale non mi tocca più, perché interrogarsi ancora sulla propria integrità, sul rischio d’infedeltà, sulla qualità del proprio operare? La posizione blindata non è soggetta a riesame, per cui la gente blindata è gente serena (cioè dalla grande faccia tosta), incline ad avere «mano lesta», senza tanti dubbi amletici, capace di enunciare ma poco di verificare, e… anche molto appetibile a quella istituzione che vuole gente disponibile, pronta alla mobilità, affabile, mediatica, non troppo presa da problemi di coerenza, di ri-esame di se stessa e del suo operare, il che per un’istituzione così significherebbe avere gente che ti pone delle grane. 

Se poi, aggiungiamo che anche l’istituzione può avere questa vena di narcisismo che la spinge a consolidarsi più che ad auto-correggersi, allora il bacino dei narcisisti diventa il più appetibile dal quale estrarre i futuri suoi leader, leader di cui sarà difficile capire la scelta interiore e fino a quanto sono disposti a giocarsi su di essa, ma che ce li andiamo a cercare noi stessi. Questo è un modello che piace anche al mondo dell’industria e che può silenziosamente infilarsi anche nel nostro, un modello dove il non legarsi ad uno stile di vita in favore di una versatilità che ti fa giocare contemporaneamente su più tavoli è ciò che qualifica il bravo manager. Con la differenza, però, che là, alla fine dell’anno, il ferreo bilancio economico ti fa usare la versatilità con saggezza mentre, all’interno della chiesa, il bilancio in termini di valori è molto più «misericordioso» e tollerante. Questa illusione narcisista sta anche dietro a tanti programmi di rinnovamento rendendoli inoperativi nel momento stesso in cui vengono proclamati. Dopo ogni scandalo si giura di fare l’operazione pulizia per il futuro ma è una promessa da marinaio. Si giura che domani saremo puliti, che la sporcizia non ci toccherà più e così siamo da capo: ribadiamo il miraggio puritano che aveva creato quella sporcizia. 

 

Vivere un valore è anche fare memoria della propria debolezza oltre che della propria adesione, del proprio «sì» ma anche dell’inevitabile «no» che accompagna quel «sì» e sempre lo accompagnerà, nella aspettativa che più si affina il «sì» più anche il «no» si fa raffinato: di qui la vigilanza, il bisogno di essere controllati, l’importanza della legge, il senso di rispetto e di meraviglia per le opere che abbiamo concretizzate, l’attesa dell’apparire di nuove corruzioni e l’allenarsi a riconoscerle dalle iniziali nuvolette. 

 

Rimedi? Almeno, recuperare la consapevolezza che la certezza della fede non toglie l’ambiguità della risposta. L’ambiguità resta sempre davanti (anche ai santi) e spendersi per i valori non significa averla risolta. Nella formazione delle coscienze, dei futuri leader (ecclesiali ma anche politici) sarebbe utile avvisare dell’uso narcisistico a cui i valori si prestano proprio una volta che sono stati accettati e introdurre la previsione che nel futuro la coerenza ad essi produrrà nuove e inedite vulnerabilità. Nessuno, neanche Dio, ci libera dall’ambiguità creaturale e della storia. Anzi, è proprio l’ambiguità rispettata e non abolita che ti chiede di (ri)scegliere la tua posizione ed è la condizione della possibilità dell’azione dello Spirito. Altrimenti, corri il rischio di tenerti legato ai tuoi valori per tenerti legato ai tuoi traffici illeciti. 

 

Ciò che deve far riflettere è la giustificazione che talora viene portata: «la vita privata non c’entra con la vita pubblica». Questo non solo da parte dei politici, ma anche nei nostri ambiti (anche se più sottilmente). Se fino ad un certo punto questo può essere vero, non è vero che debba essere sempre e comunque così. La vita privata e l’unità di vita sono comunque estremamente importanti per la singola persona. Ciò porta a una falsità di fondo che percorre tutta l’esistenza personale e le relazioni interpersonali (sia nel ministero sia nel matrimonio, per esempio). Nascono i furbetti di sacrestia, che usano le cotte e i pizzi, per veicolare la loro vita altra rispetto a quello che viene proclamato. Forse, per certi aspetti, qualcosa del genere c’è sempre stato, ma oggi viene teorizzato come nuovo modo di vivere liberi. Il tutto rischia di essere ridotto a una finzione (come una recita a teatro), portando a degenerazione anche i rapporti interpersonali e la fiducia fondamentale che li dovrebbe regolare. Si finisce per usare il ministero per interessi privati (anche solo per avere di che vivere, ma senza conformare la vita privata al ministero esercitato: il vivi ciò che celebridi cui parla il rito dell’ordinazione).

Chi non dubita, almeno in parte di sé, è meglio che abbandoni idee di riforma.

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