Preti pedofili


Editoriale
Tredimensioni 7(2010) 228-237



100 e più considerazioni si potrebbero fare sul tema. Rimandando all’articolo che in questo stesso numero della rivista tratta dell’interiorità di questo disturbo e del problema formativo.[1] Ora vorremmo offrire una possibile lettura del contesto in cui un simile problema può svilupparsi. 

 

Con calma

La patologia grave, come è in questo caso, ha sempre il grande potere di risucchiare l’occhio e la mente di chi la osserva e la cura. Risucchia il familiare, lo psichiatra, lo psicoterapeuta… Una volta che il disturbato grave ci ha attirati nel suo castello irreale, con lui si viene a creare una specie di «follia a due» che ci fa diventare disturbati come lui, oppure ci fa avere una reazione auto-protettiva tale che ci fa perdere l’oggettività del giudizio. Quando, in una famiglia c’è un tossicodipendente, un alcolizzato, un giocatore d’azzardo incallito, un anoressico grave… tutti vengono travolti, nessuno ha più la calma per chiedersi «ma che cosa sta succedendo?» e, affondata in questo terreno, non è raro che la famiglia stessa vada nel caos. 

Anche lo scandalo della pedofilia ha lo stesso potere catalizzatore. Tutti urlano «al fuoco, al fuoco!»: chi per spegnerlo, chi per contenerlo, chi anche per attizzarlo…. Ci vorrebbe anche qualcuno che, riacquistata la calma perduta, controllasse che in un altro angolo della casa non stia formandosi qualche altro principio di incendio. Se no, ad incendio domato, in un’altra parte del mondo scoppierà un altro caso di pedofilia, o qualcosa di diverso ma che in fondo è uguale, dato che patologia attira patologia. Saremmo da capo, con la differenza che i preti pedofili o altri futuri lestofanti avranno imparato ad essere un po’ più cauti. Stando alla recente storia italiana, non sembra proprio che abbiamo imparato molto -in termini di prevenzione- dagli scandali scoppiati in multiformi fogge.

 

Ma cosa sta succedendo?

Uscire dal panico innescato dalla pedofilia dei preti e sperare che essa non si rigeneri in altro modo, significa guardarla collocandola all’interno del contesto nel quale potrebbe essersi sviluppata e di cui essa potrebbe essere solo un sintomo. Vista in sé, estraniata da quel contesto, è un fenomeno del tutto specifico, incomparabile, unico. Vista nel contesto potrebbe anche essere il sintomo - forse estremo - di altre patologie - forse più innocue o meno eclatanti - che si annidano in altri angoli dello stesso contesto. Un check-upgenerale sarebbe consigliabile.

Lo diciamo con molto rispetto: i preti pedofili sono pedofili (e in questo sono una categoria a parte, una patologia a sé) ma sono anche preti e non si può negare che l’immediato contesto di incubazione sia anche ecclesiale, nel senso che, per loro, l’essere preti è servito spesso da copertura e non da ravvedimento. A differenza di altre problematiche, il prete pedofilo non si riconosce in crisi di vocazione, difficilmente lascia spontaneamente il sacerdozio, se non fosse stato scoperto avrebbero continuato a fare un uso improprio della sua vocazione. Qualcosa non ha funzionato a casa nostra, di più generale e forse anche di più innocuo, ma non semplicisticamente riconducibile alle derive post-conciliari (i casi scoperti sono di preti formati prima del concilio) o attribuibile ai mal costumi della società odierna. Non sarebbe fuori posto, approfittare dell’occasione per chiederci come mai sotto il tetto della vocazione possano resistere per tanto tempo traffici così ignobili. 

Ci sembrano, allora, pertinenti alcune domande, da porsi con calma, senza polemica o voler fare di tutte le erbe un fascio. Preti pedofili: solo erbaccia da estirpare o anche indice di un terreno ecclesiale da bonificare? In questo fenomeno si annida qualcosa che è solo suo, oppure esplodono estremizzazioni di dinamiche analoghe(non uguali!) che proliferano sotto la cenere senza arrivare ad una deriva così estrema? Quello che sta succedendo ci informa soltanto che ci sono dei preti che fanno porcherie con minorenni o ci sta ad indicare in modo sfacciato che la vocazione del prete è esposta a rischi? Non certo a rischi pedofili, ma a qualche rischio sì. Ecco: forse i preti pedofili non indicano solo porcherie pedofile ma un terreno diversamente sporco. 

Non vorremmo essere blasfemi, ma il fenomeno dei preti pedofili potrebbe essere anche letto nel contesto della parabola del seminatore. Ne è… quasi una conferma. Se leggiamo quella parabola come la descrizione dell’intreccio vocazionale fra chiamata (seme) e risposta (terreno), potremmo dire che la risposta vocazionale si sviluppa sempre in un terreno di ostacoli, piccoli o grossi che siano. Non dice che gli ostacoli vengono dal terreno del vicino ma proprio da quello in cui si annida il seme. La parabola dice che il contesto è sassoso, ma non specifica se è luogo di sassolini o di macigni; è fatto di rovi, senza specificarne il tipo, l’altezza o la quantità di groviglio; di arsura, senza specificare la temperatura del sole o il grado di aridità della terra... La parabola non ci dice di concentrarci sui grossi macigni ma sul fatto che, comunque, c’è pericolo, anche se fosse solo per il ghiaino scivoloso. Ecco: il macigno dei preti pedofili potrebbe anche farci pensare che nel terreno dei preti esistano sassolini che sono diversi dal macigno ma altrettanto pericolosi.

 

Dove andare anche a guardare

Vista in un contesto più ampio, la pedofilia dei preti incomincia ad informare non solo di se stessa. Proviamo ad intercettare alcuni segnali. 

Verifica della formazione attuale. La pedofilia dei preti(con la sottolineatura sul genitivo) è l’avvertimento eclatante del destino in cui incapperà il sistema dei valori vocazionali quando non riesce ad innescarsi con i dinamismi della personalità umana: un misero destino. Non certo un destino di pedofilia ma, comunque, di perversione, degrado, indecenza, pietà. Vogliamo dire che quando i valori - che dovrebbero essere le travi portanti del tipo di scelta fatta - sono obbediti, proclamati, anche praticati… ma dal di fuori, rimasti a livello di impalcatura esterna della propria casa interiore, allora in questo caso, con il passare del tempo e quando la vita presenta il conto, quei valori appaiono in tutta loro artificiosità, crollano e lasciano il posto non a valori migliori, ma ad un qualche tipo di perversione. Vale il principio evangelico che a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha. Quando non si è mai scommesso su dei valori è difficile imparare a farlo con altri valori. Ad assenza di valori forti corrispondono valori perversi. Insomma, o i valori della vocazione sono stati interiorizzati, diventati convinzioni di vita e non approssimazioni o l’esito è una vita pietosa, dalle mille forme. Abbondiamo di documenti sulla formazione, ma chi verifica se diventano prassi? 

Qualità della spiritualità proposta. Ci pensiamo troppo poco, ma i valori più alti, come lo sono quelli che caratterizzano la vita del prete, sono anche quelli che si offrono a noi come i meno urgenti. Sono più deboli rispetto alla forza impositiva dei valori inferiori (stima di sé, socievolezza, salute….). Ciò vuol dire che l’attrazione per i valori superiori deve essere coltivata di continuo, mentre la ricaduta verso il primato dei valori inferiori segue una china naturale. Essendo più «volatili», la loro negligenza o il rinvio della loro soddisfazione ad un momento successivo non produce insoddisfazione profonda se non in persone già ben formate. Ogni tanto dovremmo controllare lo stato di urgenza della nostra spiritualità: ammesso che sia presente, quanto incita, smuove, agita, turba… o quanto invece rassicura, affievolisce, impigrisce… Se va di moda una spiritualità «da idromassaggio», fatta di bollicine rilassanti fino al punto che ti fanno assopire, non ci dobbiamo meravigliare se ci sarà qualcuno che porta questa spiritualità da burla all’eccesso estremo, sfruttandola per abbonire, addomesticare, addolcire, legittimare… 

Il sesso è anche pulsione. I pedofili ci ricordano che al sesso non si comanda. E purtroppo è anche così. C’è una parte della sessualità che è libido, istinto, forza che spinge. Su questa parte, la ragione non comanda. È inutile ricorrere alla sublimazione. È una parte che va mortificata, che resta fuori ma non per questo viene liquidata. L’astinenza sessuale mortifica l’attuazione diretta della libido ma non le altre sue ramificazioni. Ha il rischio di farci diventare acidi, invidiosi, permalosi, arroganti, egoisti, mendicanti, ironici, rancorosi, pettegoli… Su questo versante della medaglia si sorvola. Per noi, il bravo rettore è quello che organizza incontri sul celibato, non quello che riunisce i suoi seminaristi per compilare la lista di tutti gli inconvenienti della condizione di astinenza. Non si parla mai del rischio regressivo a cui è esposta la vita celibataria. E, allora, la libido ignorata scappa di mano. Certe licenze, gli sposati non se le possono permettere troppo a lungo: la moglie controlla, i figli pretendono, il lavoro va mantenuto, le imposte pagate… Il celibe invece, essendo meno pressato da questi «acceleratori di sviluppo», può più impunemente lasciare al loro decorso naturale i suoi impulsi. Non ha nessuno che gli faccia un test di realtà: il vescovo è lontano e i parrocchiani sono allontanabili con mille scuse. Con il tempo, non diventerà pedofilo ma ingestibile sì: uno che segue i suoi impulsi, procede a testa bassa e non ce nessuno che riesce a fermarlo. 

Il lettore si chiederà: ma cosa c’entra tutto questo con la pedofilia? I preti pedofili sono un’altra cosa! Contenutisticamente Sì, psicodinamicamente No! I contenuti variano, ma il contesto di fondo varia un po’ meno e tende a ripetersi in tanti contenuti dissimili. 

Per leggere la pedofilia dei preti c’è un approccio psicopatologico ma anche psicodinamico. Il primo la mette come anormalità a sé di tipo intrapsichico, il secondo come avvertimento abnorme di un contesto comunitario più ampio. Per cui è legittimo ipotizzare che il macigno dei preti pedofili (che si vede) rimandi ai sassolini (che non si vedono).

 

Macigni e sassolini

Innamoramento anomalo. Ascoltando le biografie dei pedofili si rimane colpiti dalla cocciutaggine, destrezza, furbizia, tenacia, pazienza con cui il pedofilo persegue il suo piano, senza la considerazione del danno. Di rado compie un assalto improvviso. Il pedofilo si apposta, sa aspettare, blandisce, inizia con discorsi spirituali, previene le remore della vittima e ad attacco avvenuto lo fa passare come cosa normale, dalla valenza addirittura spirituale. E prima o poi, lì ritorna e rincomincia (il recidivismo è pressoché la norma). Sull’impresa investe, davvero, tutte le sue energie. 

Se, poi, ascoltiamo la biografia di altri preti che pedofili non sono ma che non sono proprio indifferenti ad altre passioni dubbie troviamo spesso la stessa tenacia e determinatezza. Cambia l’oggetto a cui si punta ma lo stile è simile: destrezza negli affari, furbizia nelle alleanze, cocciutaggine a resistere nel posto che si occupa pur con l’evidenza di essere diventati un impedimento, non considerazione del danno al suo successore che si troverà a pagare i suoi debiti…

Non è solo l’oggetto a fare problema ma l’investimento energetico ed energico. Quando su un oggetto (qualunque esso sia) si è disposti a concentrare tutte le proprie energie, quell’oggetto diventa un valore di vita, auto-definitorio: prende la mente, l’immaginazione, la fantasia, le gambe, le mani… È la «perla preziosa» per la quale si è disposti a tutto. Il confronto di biografie così diverse ma anche così uguali dice che o hai un investimento energetico buono o ne hai uno cattivo: e qui il campionario è piuttosto vario, dall’apparentemente buono al vizioso, non importa se di gusto pedofilo o altro (carriera, denaro, gloria personale, attaccamento esagerato ai parenti, collezionismo compulsivo di oggetti, cura eccessiva degli oggetti sacri, sciatteria, trasandatezza nel corpo, manie…). Di quante cose siamo innamorati….

Abuso della professione. Raramente il pedofilo è un pezzente, un barbone della vita, un nulla tenente. Di solito è un insospettabile, uno che detiene un ruolo di autorità o di potere. Ed è comprensibile che sia così, perché la sua autorevolezza è parte essenziale del suo gioco che altrimenti verrebbe subito smascherato come gioco perverso. Il pedofilo non è il disperato che si abbassa i pantaloni in mezzo ad una piazza e urla «voglio sesso!». Si nasconde dietro all’essere un insegnante, un direttore spirituale, un educatore, un modello, un prete… Abusa degli altri ma anche del suo ufficio; va contro al codice deontologico della sua professione, ma di quella ha bisogno per compiere il suo rituale e mai si auto-denuncerà (se non quando viene scoperto e a volte neanche allora). Solo lui fa questo abuso della professione? Non esistono altri abusi della «professione» ecclesiale, più silenziosi e addirittura socialmente retribuiti? Nessun altro usa l’«abito» religioso per farsi aprire porte importanti senza destare sospetto o per trasmettere agli altri una paura reverenziale che li frena dal consigliare un serio esame di coscienza? C’è il pericolo di enfatizzare la superiorità dello stato clericale e la «sacralità» del suo potere oltre ogni verifica. Fuori dal caso di pedofilia, questa è la dinamica che contraddistingue il clericalismo, oggi ritornato di moda in tanti nostri seminari.

Valori di copertura integerrimi ma esagerati. Quando si scopre che un prete è un pedofilo, di solito si cade dalle nuvole. Chi mai lo avrebbe immaginato? Certo, esistono le accuse ingiuste che proliferano in tempi di caccia alle streghe o di alta rivalità (è un metodo impeccabile per far fuori il rivale). Ma anche ad accusa provata ci si continua a meravigliare, perché quel prete di solito è generoso, dedito alla gente, obbediente, sostenitore delle norme e a volte fin troppo. È il fin troppo che avrebbe dovuto insospettire. Ma è difficile sospettarlo in partenza, perché quel fin troppo serve da «virtù» molto vantaggiosa: tacita ogni piccolo segnale di allarme fin dal suo sorgere, annulla l’emergere della colpa o almeno della vergogna, toglie l’esperienza della paura. Solo il pedofilo è incapace di restare umile e sobrio? Solo lui è uno spudorato? Non ci sono, anche, degli altri «ingordi di virtù» di cui sarebbe bene sospettare? 

Queste tre dinamiche toccano tre elementi del contesto ecclesiale molto sensibili: affetto, denaro, potere. Se passati senza verifica, qualcosa prima o poi cede; non importa se per colpa di un macigno o di un sassolino perché nelle cose umane i sassolini hanno la forza dei macigni. 

 

Mai più queste cose!

Alla base del fenomeno dei preti pedofili ci sono molti errori del passato. Solo del passato? Si dice:

- C’era stato uno screeningimproprio dei candidati al sacerdozio: e oggi, visto il numero limitato di entrate in seminario, quale rettore ha il coraggio di dimettere i candidati problematici se non in casi del tutto estremi?

- C’era stata poca attenzione alla formazione sessuale: e oggi ci preoccupiamo di più di ieri a fare imparare come vivere il celibato e non solo a come difenderlo?

- I casi problematici erano visti come incidenti isolati e come episodi straordinari e non si è capito che cosa stava succedendo: e oggi siamo più attenti a cogliere l’entroterra «culturale» dei problemi dei seminaristi attuali? Oltre che dire che sono più deboli e più fragili, che cosa sappiamo del loro modo di costruirsi certezze? 

- Per proteggere l’istituzione si era lasciato correre e si è chiuso un occhio: oggi se ne chiudono due pur di avere nuove leve che rimpiazzino i vuoti lasciati dai vecchi che muoiono. A quale sorte sarà esposto un formatore che tira fuori un problema di un ragazzo che per lui è piccolo ma importante ma che agli occhi degli altri è piccolo e dunque irrilevante? Se ha il coraggio di farlo, deve gestire lo scontento dell’animatore vocazionale («Ma come? Dopo tutto lo sforzo di fare entrare qualcuno in seminario, tu lo mandi via?»), la banalizzazione degli insegnanti («Studia, è uno dei migliori»), i malumori del parroco che ha già annunciato dal pulpito la rara grazia di una vocazione e proprio nella sua parrocchia, le remore del vescovo, il dissenso silenzioso del padre spirituale…

- Non si erano tenute in debito conto le segnalazioni provenienti dai laici: ma oggi, i laici, che ruolo hanno nel discernimento vocazionale? Spesso i superiori non conoscono neanche i genitori dei loro seminaristi, tanto più tenuti alla larga quanto più sono ostili alla decisione del figlio, sono separati, conviventi o non praticanti.

- C’era stata l’omertà per la paura che venissero messe sul tavolo tematiche imbarazzanti e ipotesi di cambiamento: e oggi non c’è più questa predilezione per le questioni che lasciano le cose come stanno, glissando quelle che evidenziano delle nuove svolte da considerare? 

- C’erano state risposte istituzionali di stile corporativo più che evangelico: e oggi è sparita del tutto la politica del «di certe cose non si parla», «speriamo che non trapeli», «come fermare i giornali»?

Speriamo!

I rimedi legati al problema dei preti pedofili sono urgenti e certamente su questo versante non stiamo dormendo. Dobbiamo però considerare che ogni tipo di scandalo, anche se riparato, produce inevitabilmente un abbassamento collettivo della soglia di resistenza alla tentazione: si diventa più tolleranti verso trasgressioni più innocue, meno tenaci nel ricuperare, più inclini a superare le crisi nella direzione di rompere anziché salvare gli impegni presi. Una volta preso atto che certe cose succedono anche a casa nostra, s’innesca una cultura non detta di tolleranza alle trasgressioni minori. Per questo, ad un problema contingente da riparare va aggiunta la riesamina del suo contesto. 

Sei anni fa, nel 2004 la nostra rivista (era il suo primo numero) scriveva: «La pedofilia è un caso estremo della possibile dinamica innescata dalle aberrazioni educative. Ciò che prima non è stato affrontato con successo appare dopo in forma patologica e può compromettere lo svolgimento di ciò che avverrà dopo» (p. 25), e parlavamo «delle aberrazioni sotterranee, dall’inizio di bene, addirittura giustificabili, ma che uccidono quanto quelle palesi. Non subito però, ma con lunga e lenta agonia. Dimenticanze, sviste, errori non colpevoli, facilonerie, rette intenzioni, complicità sornione che non annullano l’impatto del vangelo sulla vita della persona, ma lo umiliano. Non portano immediatamente su una brutta via, ma solo con il tempo tale si mostrerà. Queste sono aberrazioni più aberranti di quelle esplicite, perché innescano un processo di crescita apparente che della vita cristiana rispetta il guscio ma la svuota di vigore» (pp. 18-19).[2] Altri sassolini vengono segnalati quasi in ogni numero della rivista. 

Speriamo che la perversione di tipo pedofilo non ci streghi eccessivamente, facendo passare inosservati i fuocherelli dei futuri incendi.

 

Libro consigliato:

G. Cucci – H. Zollner, Chiesa e pedofilia. Una ferita aperta, Àncora, Milano 2010, pp. 128. 

Argomenti del libro. Per non parlare solo in base al «sentito dire»: la definizione di pedofilia, la personalità del pedofilo, i dati sulla pedofilia tra i preti della chiesa cattolica. Elementi psicologicamente rilevanti per capire la psicodinamica del pedofilo (confusione nell’orientamento sessuale, interessi e comportamenti di tipo infantile, scarsità di relazioni alla pari, difficoltà nello sviluppo sessuale, storia di violenze, personalità estremamente passiva, introversa, conformista e dipendente). La pedofilia si può prevenire e prevedere? Che insegnamenti trarre per una formazione integrata? Domande cruciali per favorire la maturità sessuale, (cap. 1). La diffusione della cultura pedofila e le accuse a Benedetto XVI, (cap. 2). Quando si può dire di essere maturi: 6 aree della personalità che sono importanti per l’ammissione e formazione in seminario e che concretizzano il significato di maturità affettiva (tipo di religiosità, identità stabile, qualità delle relazioni, solitudine e comunione, disponibilità ad imparare, aggressività), (cap. 3). Il ruolo del formatore: riconoscere i segni di una sua mancanza di libertà (transfert, legami insani, aspettative); agire in modo corretto ma anche dare efficacia alla prassi con il rigore di un pensiero illuminato dalla antropologia cristiana; come e quando ricorre alle competenze psicologiche, (cap. 4). Benedetto XVI ai cattolici dell’Irlanda sullo scandalo dei preti pedofili (appendice).

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