L'inizio del cammino vocazionale e le qualità necessarie


Alessandro Partini
Tredimensioni 1(2004)3, 296-303
 
 

L'ambito del discernimento vocazionale è allo stesso tempo molto delicato e vasto: qui c’interessiamo, in modo sintetico, del contributo che possono dare le scienze umane e in particolare la psicologia.

Già 35 anni fa la Gaudium et spes esortava a conoscere ed a far buon uso nell’attività pastorale «non soltanto dei principi della teologia, ma anche delle scoperte delle scienze profane, in primo luogo della psicologia e della sociologia, cosicché anche i fedeli siano condotti a una più pura e più matura vita di fede» (GS 62). Lo scopo, dunque, era non tanto per difficoltà particolari o patologie o anche per una vita più matura dal punto di vista della semplice crescita umana: ma per una più matura «vita di fede».

Un corretto approccio, che integri la dimensione spirituale con quella psicologica da parte di una persona che sia esperta in entrambe, può essere infatti un aiuto non indifferente. In particolare può aiutare la persona a conoscersi meglio e, conoscendo meglio i propri modi d’essere e reagire (anche inconsci), ad affrontare meglio gli ostacoli alla vita di fede che frenano la sua donazione a Dio ed ai fratelli. Molto spesso questi ostacoli, come ben sa ogni educatore, non dipendono solo dalla mancanza di fede o di buona volontà, ma anche da dimensioni immature di sé che, non affiorando alla consapevolezza, neanche possono essere affrontate.

Un riferimento alla psicologia può quindi aiutare sotto due aspetti: quello di un’adeguata conoscenza della propria situazione interiore, che possa costituire un ulteriore elemento di discernimento (per esempio in vista di una decisione vocazionale) e quello dell’eventuale successivo accompagnamento.

Un esempio del primo aspetto può essere un servizio di valutazione della personalità – paragonabile a larghe linee a quello che in campo clinico è il momento della diagnosi – condotto con interviste del profondo ed una serie di test, che indaghino dalle aree più manifeste a quelle più inconsce della personalità. È importante che vi siano delle «interviste» o colloqui con il candidato, che non può essere valutato solo in base a dei test che, seppur scientificamente convalidati, mai possono cogliere tutta la ricchezza della vita concreta soggettiva. Per lo stesso motivo, è opportuno utilizzare una batteria di test che indaghino le varie aree della personalità, da quelle più apparenti a quelle più inconsce: l’affidarsi ad uno o due di questi test sarebbe ancora una volta insufficiente per lo scopo che ci si propone in campo formativo. Infatti, uno dei rischi che si possono incontrare nel tentativo di integrare scienza e fede, spiritualità e psicologia – oltre a quello fondamentale di partire con visioni antropologiche non compatibili con la vita cristiana – è quello di una certa semplificazione delle problematiche: a volte si presume che basti un’infarinatura di psicologia per improvvisarsi esperti e svolgere un servizio competente in questo campo; ma è evidente il danno che si può fare in questo modo a persone e comunità. In questo senso è preferibile non saper nulla della psicologia della persona e delle relazioni interpersonali, che averne una conoscenza superficiale e tentare di aiutare le persone con quest’infarinatura.

Un esempio del secondo aspetto può essere un tipo particolare di accompagnamento, che permetta d’affrontare quelle aree di sé più inconsce ed immature le quali, una volta messe in luce, perdono la loro funzione di freno nel cammino di sequela del Signore.

Infine un aiuto dalla psicologia può essere per la formazione dei formatori: è ovvio che possono svolgere il loro servizio con maggiore competenza ed efficacia se, oltre ad essere esperti nella vita dello Spirito, sono maggiormente in grado di riconoscere ed aiutare le persone nelle loro difficoltà e contraddizioni umane,

 

Incominciare il cammino: ipotesi percorribile?

Ora vorrei citare alcuni criteri, molto semplificati e tutt’altro che esaustivi, che possono aiutare per sondare la maturità umana necessaria in vista di un discernimento iniziale circa lo stato di vita al quale ci si sente chiamati. Non riguardano il momento della decisione vocazionale – per esempio «entro o no in seminario?» – né quello della successiva formazione, quanto piuttosto, quel primo tratto del cammino caratterizzato dalla ricerca del proprio stato di vita: in sostanza, criteri utili per valutare se è opportuno o meno proporre alla persona l’esperienza del «vieni e vedi».

In questa fase iniziale, questi criteri hanno una duplice utilità. Come prima cosa aiutano l’educatore a discernere il desiderio manifestato dal ragazzo/a di intraprendere un cammino vocazionale, e quindi decidere se accettare o no la sua domanda. In secondo luogo permettono di valutare meglio se vale la pena fare una proposta vocazionale: «Questa persona ha i requisiti minimi per farle la proposta o il mio farle la proposta la metterà nei pasticci?».

Ne segue che sono criteri utili, più che per il direttore spirituale o il formatore (per esempio di noviziato), soprattutto per l’animatore vocazionale: aiutano a valutare se conviene che certi ragazzi continuino a partecipare ai gruppi dove si fa un cammino di discernimento vocazionale (i cosiddetti gruppi Samuel), se conviene consigliare il passaggio dal seminario minore a quello maggiore….

Come per ogni criterio, anche questi vanno presi con le dovute cautele: in particolare, vanno esaminati in relazione alla vita di ogni persona, il che implica la conoscenza abbastanza intima della stessa.

Ricordo poi che in quest’articolo c’interessano anzitutto le capacità umane, piuttosto che le caratteristiche spirituali, le quali meritano una trattazione a parte. Valutare la maturità umana della persona, oltre che essere raccomandato da documenti ad ogni livello in materia, è tanto più necessario quanto meno spontaneo è il passaggio dall’adolescenza all’età adulta. La maggior parte dei giovani che ci accostano presentano, chi più chi meno, aree di immaturità personali; il che non vuol dire che non possano essere chiamati dal Signore ad una vita di speciale consacrazione. Nel mondo odierno non si può pretendere di cominciare un cammino solo con chi ha raggiunto un alto livello di maturità: a quello si arriverà pian piano, a patto che non si affidi la maturazione al solo scorrere del tempo.

Parliamo allora di quelle che possono essere le condizioni minime necessarie per cominciare un serio cammino vocazionale. Il senso di questi criteri non è quello di dire «La persona, così com’è ora, risulta andar bene!», ma «Con questa persona si può cominciare a lavorare!». Ci vorrà poi la proposta di un cammino formativo che sia abbastanza impegnativo ed approfondito: perciò una formazione adatta al riguardo dovrà essere anche abbastanza difficile per la persona, così che la sfidi concretamente ad una crescita reale nella maturità umana.

 

Condizioni minime

1. Almeno una volta

La crescita umana è difficilmente prevedibile. Alcuni sembrano promettere bene e poi deludono, da altri ci si aspetterebbe poco e invece fanno grandi progressi. Per ovviare almeno un po’ a questa difficoltà, si può dire che quegli atteggiamenti fondamentali di maturità che la persona ha vissuto almeno una volta può imparare a viverli abitualmente; quelli invece che non ha mai vissuto, sarà molto più difficile che incominci a realizzarli. Per esempio il rispetto per gli anziani, o la capacità di controllare i propri impulsi aggressivi o sessuali, ecc.

2. Tracce di dialogo con Dio

Ci deve essere un senso o spirito religioso. Intendo con ciò: che ci sia una certa vita di preghiera, anche se ancora a livello embrionale; che Dio non sia solo una teoria più o meno bella nella mente della persona, ma sia presente realmente come un «Tu» a cui potersi rivolgere; ed anche che la persona percepisca la vocazione non solo come un «ruolo sociale» attraverso cui realizzarsi, ma abbia il senso di «essere chiamato». In breve, che ci sia una relazione di dialogo con Dio: se manca – ed a volte capita, se si va a vedere come la persona vive a livello profondo – forse solo un miracolo potrebbe renderla in grado di cominciare un cammino vocazionale serio. Invece, non si richiede con altrettanta necessità la conoscenza approfondita delle realtà della fede: a volte coesistono una vita di preghiera già abbastanza sviluppata ed una certa ignoranza degli elementi della catechesi, ma a questo non è impossibile rimediare. Oggi, poi, molti giovani vivono nella ribellione verso Dio, o facendo a meno di Lui anche per alcuni anni: non è tanto importante quando inizia il dialogo col Signore, se da piccolo o da grande, se da molti anni o da poco tempo, quanto che ci sia.

3. Inoltrarsi in sentieri fuori mano

Riguardo alla libertà per vivere i valori «fuori moda» della vocazione, l’obbedienza merita una menzione particolare. È il voto o la promessa che suscita maggiori difficoltà e riserva più sorprese. Il contenuto del vivere la povertà è abbastanza prevedibile, come anche quello della castità. L’obbedienza può più facilmente portare in situazioni non immaginate in antecedenza. Si può allora osservare come il soggetto si dispone a svolgere lavori o compiti a lui poco gradevoli. Nel colloquio personale si può chiedere come si vede da sacerdote o da religioso/a, quali servizi vorrebbe svolgere un domani e quali non vorrebbe; si può chiedere come reagirebbe se gli fosse chiesto di svolgere per lunghi anni proprio uno di quei servizi che non desidera, per esempio quello di segretario in una diocesi o in una provincia religiosa: può essere allora che dica «non lo farei mai», oppure esprima un »subito!» che manifestano una certa impulsività e carenza di riflessione personale; oppure che, in modo più maturo, dica qualcosa come «cercherei di spiegare le mie ragioni, ma se proprio dovesse essere, alla fine accetterei».

4. Darsi da fare

Si può poi osservare se la persona ha potuto superare alcune difficoltà. La passività è uno dei maggiori ostacoli per una vita impegnata ed è un problema oggi facilmente riscontrabile. Un segno positivo è se la persona ha vissuto qualcosa di impegnativo, per cui ha lottato e faticato: un lavoro, uno studio, o anche semplicemente qualcosa a livello ricreativo, come uno sport o imparare a suonare uno strumento o il fare una scalata in montagna. Se invece si osserva che ciò manca, e magari che l’unico modo di ricrearsi è davanti alla televisione o fare una bella mangiata, c’è qualche problema al riguardo.

5. Qualcuno per amico

La capacità di vivere rapporti maturi è, come sappiamo, un punto cruciale. Si può allora osservare se la persona ha avuto nella vita almeno un’amicizia che sia stata abbastanza stabile. Lo si può intravedere anche da piccole cose, come il fermarsi a tavola per chiacchierare un po’ senza scappare subito alle proprie cose. All’opposto, ci sono quelle persone che creano difficoltà e divisioni, per cui ovunque vadano creano conflitto: non è l’ideale della maturità se uno si ritira in camera da solo per un’intera giornata, ma è un problema ancora più grande se uno divide la comunità ed in pratica porta gli altri a schierarsi o con lui o contro di lui.

6. Lasciarsi raggiungere

Nell’ambito del vivere le relazioni umane, un indice importante è l’apertura al e nel colloquio personale: è un buon segno se, pur vivendo all’inizio un po’ di cautela nel presentare la propria vita a chi accompagna, poi man mano ci si apre sempre di più; ciò vuol dire che c’è una accessibilità di fondo e disponibilità a fidarsi.

7. Affezionarsi a qualcuno

Sempre in quest’ambito, una questione oggi molto delicata è quella della castità, a causa del relativismo e della confusione riguardo ai valori morali, dominante in particolare nei giovani e nei loro gruppi. Il segno più negativo è la promiscuità sessuale, cioè se si hanno rapporti sessuali con più persone: vuol dire che la capacità di vivere relazioni mature è scarsa, e forse difetta anche il senso del peccato. Altra cosa è se una persona ha rapporti sessuali con un’altra nel contesto di una relazione affettiva: è una situazione recuperabile in vista di una consacrazione perché, almeno, qui c’è l’elemento relazione e di progetto. La promiscuità mostra che dentro manca qualcosa, ossia il suo contesto è una rocambola di bisogni psichici e fisiologici contraddittori e non facilmente focalizzabili. L’indice peggiore in assoluto al riguardo è la promiscuità bisessuale: qualunque persona va bene, uomo o donna che sia, purché si possa esercitare la sessualità.

8. Un “luogo” dove gioire

Un ultimo punto è la capacità di godere delle cose semplici. Molti problemi e situazioni della vita portano con sé inquietudini e tensioni, ma se uno trova un po’ di pace in qualcosa, è indice di una certa maturità umana, la quale in ambito clinico può essere definita come la capacità di vivere in una sufficiente pace con se stessi, con le persone vicine, con il proprio lavoro. Per esempio se uno trova gioia e pace nel guardare un bel tramonto, o nell’ascoltare della musica, o anche semplicemente nel leggere i fumetti… non ha bisogno di stare sempre a cercare rapporti conflittuali in cui infilarsi o di suscitarli, al fine di dare sfogo alle proprie tensioni.

È da notare che i criteri citati sono comportamentali e perciò sono utilizzabili da tutti, in quanto non richiedono un approccio psicodinamico alla persona. Riguardano le capacità umane, ed in particolare quelle correlate con l’impegno richiesto dalla vocazione di speciale consacrazione: vale a dire quel particolare minimo sottofondo umano che rende meno difficile l’assunzione della logica vocazionale. In questo senso sono criteri psicologici, ma non solo, in quanto rimandano ad una dimensione trascendente.

Evidentemente essi non costituiscono i contenuti di un eventuale colloquio dell’educatore con la persona, tanto meno sotto forma di domande. Servono per leggere gli appunti che l’educatore si fa: indicano delle domande che egli rivolge a se stesso quando rilegge e ordina le conoscenze ottenute dalla convivenza e dal dialogo con il soggetto, dall’osservazione di come questi sta nel gruppo, ecc.

Da quanto detto, pur in modo semplificato e succinto, emerge ancora una volta quanto sia delicato il servizio di aiuto nel discernimento vocazionale e come sia necessaria una preparazione adeguata ad esso. Ma ancor più mi sembra che ne esca implicitamente confermato un «modo» di svolgere il servizio dell’animazione che è tipicamente all’insegna della «relazione»: sarebbe un compito arduo, se non impossibile, senza un lavoro di equipe e senza un’intesa profonda a più livelli – contenuti, modalità, scopi, ecc. – con gli altri fratelli e sorelle impegnati nel lavoro formativo. È la sfida e la bellezza della comunione, quella forza che ci permette di testimoniare la presenza del Signore vivo e risorto a quanti Lo cercano per donarsi a Lui con tutto il cuore.

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