Intervento di Ana-María Rizzuto


The Psychoanalytic Institute of New England, East
 

Capacità di credere.
Considerazioni psicologiche sulla funzione del credere nello sviluppo personale e religioso

 
1. Introduzione

Franco Imoda, nella sua opera si è impegnato a integrare il sapere della teologia, dell’antropologia filosofica e della psicologia in un paradigma che potesse condurre i cristiani a diventare maturi nel rendere culto a Dio e come membri di una comunità. La sua attenzione allo sviluppo umano nasce dalla convinzione che il Mistero che avvolge la vita umana è intimamente presente nel processo che ci conduce a diventare persone umane psichicamente mature. Per rendere omaggio al suo contributo offrirò alcune riflessioni sugli aspetti delle conoscenze attuali che possono illuminare la nostra comprensione dello sviluppo umano in relazione al Mistero.
In quanto psicoanalista mi occupo del sviluppo dell’essere umano nel divenire una persona dotata di un mondo interiore e di una realtà psichica nelle quali il processo del credere e il contenuto del credere aprono orizzonti che vanno al di là di quelle strutture che li rendono possibili. Sto parlando delle capacità «rappresentazionale» della mente di vivere e operare in una realtà simbolica e metaforica di cultura, linguaggio e fede, come risultato del processo evolutivo. Questo sviluppo è reso possibile soltanto dalla mediazione di una costante e appropriata stimolazione da parte degli altri per l'intero ciclo vitale.
Per uno psicoanalista, la fonte di informazione più preziosa deriva dall'esplorazione clinica dettagliata delle esperienze personali attuali, della prima infanzia e degli anni dello sviluppo dei pazienti. L'analista ascolta la modalità personale con cui un individuo sperimenta gli eventi della vita e le relazioni umane. Spesso la persona non è stata capace di cogliere consapevolmente i sentimenti, gli assunti e le relative credenze formate in risposta a particolari eventi relazionali o esistenziali. Un analista si specializza nel render testimonianza al processo mediante il quale l'individuo modifica e trasforma i processi affettivi, cognitivi e simbolici in convinzioni e credenze che possono favorirne un'esistenza sana oppure una limitazione patologica della capacità di godere della vita.
Presenterò tre idee: 1) lo sviluppo procede da una continua compenetrazione bio-psichica, un processo di coinvolgimento reciproco, fra il nuovo essere e il suo ambiente; 2) il punto di arrivo dello sviluppo è la capacità di intimità, il desiderio conscio di compenetrazione psichica con un oggetto amato; e 3) la rivelazione biblica di Dio manifesta il suo desiderio di intimità con gli esseri umani. La realizzazione del desiderio di Dio sembra dunque dipendere dalla nostra capacità di offrirgli il nostro desiderio di intimità personale. Se queste affermazioni sono vere, la formazione religiosa dovrebbe perciò mirare ad aiutare il fedele a raggiungere la capacità di intimità con Dio e con gli altri.


2. Lo sviluppo umano

La nuova persona assume forma anatomica, cresce, sperimenta sentimenti, impara, agisce, ama, crea, fa scoperte, si riproduce, si rivolge a Dio e, cosciente della morte biologica, si interroga sul significato di tutto questo. Eppure lo sviluppo umano trasforma la sua energia biologica in funzioni simboliche che abilitano la persona a intravedere altre realtà al di là delle limitazioni percettive del corpo. Per raggiungere queste realtà, gli esseri umani sviluppano la funzione del credere che apre le porte a tutto ciò che è significativo a livello psichico, interpersonale e religioso.  Non c’è vita psichica senza questa funzione. Il credere produce uno specifico contenuto di fede, il quale dipende sempre dal contesto di esperienze del Sé in un particolare momento esistenziale. Permettetemi alcuni esempi. Un bambino di sei mesi crede che la madre gli porterà il biberon quando la sente trafficare in cucina. Uno di quattro anni crede che crescerà, ma crede anche che esistano i mostri, creature spaventose che possono nuocergli. Le persone che hanno fatto delle scelte vitali, nel matrimonio o nella vita religiosa, credono di poter raggiungere i propri obiettivi personali o familiari. Le persone religiose credono che vedranno Dio faccia a faccia. Come si vede, tutti questi contenuti di fede si riferiscono a ciò che accade tra persone.
La funzione del credere è inseparabile dalla capacità di divenire persona capace di interpretare le esperienze entro il suo ambiente umano. L’organizzazione cumulativa di queste interpretazioni diventerà la realtà psichica interna della persona, definirà la sua identità e la sua comprensione del mondo. Questo processo interpretativo dà ragione della continua trasformazione a cui l’individuo è sottoposto sotto l’influsso degli stimoli genetici ed evolutivi. La convergenza della dotazione genetica con ciò che viene offerto dall’ambiente umano rende possibile lo sviluppo e mostra come le strutture che prendono forma nel bambino e l’essere di coloro che lo educano sono inestricabilmente intrecciati. L’individuo che emerge da questo sviluppo porta la loro viva presenza nel cuore della sua dimensione neurologica e psichica.
L’essenza dello sviluppo consiste in un nuovo organismo che integra ciò che l’ambiente circostante offre entro nuove strutture anatomiche e funzioni emergenti. Si forma qualcosa di nuovo che non era presente prima, anche se la predisposizione genetica era già data. La compenetrazione tra nuovo individuo e ambiente crea un intreccio che rende possibili le nuove strutture anatomiche, stabilisce nuove funzioni, e fornisce il fondamento biologico per l’organizzazione della psiche e il suo modo di interagire con la realtà. Le funzioni psichiche emergenti hanno un periodo critico per organizzare i loro fondamenti anatomici cerebrali e le loro attività sotto gli input di una appropriata stimolazione sensoriale. Per esempio, se un bambino non è esposto al linguaggio durante il periodo critico, non sarà capace di imparare a parlare perché la corteccia del linguaggio si svilupperà in modo anormale. Lo stesso accade per altre funzioni sensoriali come la vista, l’udito e, più importante ancora, per le strutture necessarie allo sviluppo emotivo e sociale. Se una corretta e appropriata stimolazione ambientale non si presenta in modo concomitante con l’emergere delle nuove funzioni cerebrali, la psiche non può svilupparsi normalmente. I bambini che nei momenti critici dello sviluppo non hanno ricevuto adeguato sostegno al bisogno emotivo di risposta e stimolazione umana, mostreranno nella struttura caratteriale il tipo di deficit che ne ha segnato la crescita.
Nel suo libro Brain and Culture: Neurobiology. Ideology and Social Change, Wexler (2005)  recensisce la letteratura scientifica sull'interconnessione tra le strutture cerebrali programmate geneticamente e l’offerta delle necessarie stimolazioni ambientali al momento appropriato. La sua tesi centrale è sorprendente: «L'ambiente dà forma al cervello secondo la propria immagine» (ms. 15-16). Per renderlo in modo esplicito: gli italiani sentiranno, penseranno, e si comporteranno come italiani; i cattolici come cattolici e i bambini dei tibetani come tibetani. È così perché, negli esseri umani, una significativa parte della conformazione evolutiva del cervello e delle sue funzioni avviene dopo la nascita sotto la guida dell’ambiente, primariamente di coloro che forniscono le cure primarie, la madre e la famiglia. Wexler riassume il grande significato dell’essere personale di colei che fornisce le cure primarie dicendo: «La natura di una persona è il nutrimento di un'altra persona» (ms. 21). Egli conclude che la nostra biologia è sociale, poiché «è della nostra natura di avere cura ed essere presi in cura» (ms. 19). L’influsso fisico, materno e genitoriale sul cervello geneticamente organizzato, così come quello dell’ambiente sociale, portano a una permanente organizzazione anatomica e funzionale, neurologica e sinaptica, del cervello e delle sue parti costitutive. Queste strutture sostengono e condizionano le funzioni psichiche e lo sviluppo successivo. Per cio, non esistono due cervelli uguali. Nemmeno i gemelli hanno il medesimo cervello.
La stimolazione sensoriale, cognitiva e affettiva costituisce il mezzo che abbiamo per crescere da un punto di vista fisico, emozionale e sociale. Ogni contatto con il mondo e con gli altri passa attraverso i sensi, perfino le forme di contatto più impercettibili o sublimi come la preghiera. La nostra natura corporea richiede che i nostri sensi raccolgano la stimolazione in arrivo, la quale è poi organizzata dalla nostra percezione e interpretata, e alla fine viene integrata nelle nostre strutture cerebrali e nei processi neurali e psichici. La complessità dei 100 miliardi di neuroni è, come dice Wexler, «al di là di ogni comprensione» (ms. 25). Nondimeno, tale organizzazione registra tutta quella attività, la ordina, e la trasforma in «rappresentazioni durevoli dell'ambiente» (ms. 24). Queste rappresentazioni non-consce integrano nella struttura del cervello stesso la compenetrazione tra l’ambiente – in particolare l’ambiente umano – e l’individuo come schemi personali di esperienza, comprensione, relazione e sentimenti di soddisfazione o di afflizione. Coloro che si prendono cura di noi e il nostro ambiente diventano intrinseci al nostro stesso essere.


3. La mente rappresentazionale

Metaforicamente parlando il cervello-mente costituisce una doppia: ciò che il cervello registra e organizza, viene fatto risuonare dalla mente con le rappresentazioni intrecciate. Il processo rappresentazionale, collegato al cervello affettivo, crea una specie di versione personale dell’ambiente che incontra, in particolare delle interazioni affettive tra il bambino e la persona che se ne prende cura. Un iniziale senso di sé comincia a prendere forma proprio quando l’esperienza sensoriale, la comunicazione affettiva con altri, e la soddisfazione dei bisogni sono armonizzate entro schemi rappresentazionali. Se è raggiunta una comunicazione affettiva significativa alla maggioranza dei livelli, si instaura un senso di benessere. Se prevale una comunicazione distorta, il bambino deve ricorrere a manovre difensive per evitare il dolore psichico. Le difese funzionano per mitigare la sofferenza, ma i processi di rappresentazione di sé nonostante ciò registrano la comunicazione fallita e il dolore che ne deriva. Se le comunicazioni fallite si consolidano in uno schema ripetitivo, l’individuo svilupperà difese permanenti per evitare il rischio di provare dolore in un tipo simile di fallimento. Questo processo sussiste lungo tutta la vita in modalità diverse, a seconda dell’età della persona.
La mente rappresentazionale funziona infallibilmente, come una biografia conscia e non conscia degli incontri dell’individuo con gli altri in quanto eventi emozionali. L’esperienza di sé dell’individuo è registrata nella rete sinaptica che forniscono le basi funzionali neurali del suo senso d'identità personale. Eppure il cervello e la plasticità psichica permettono di rivisitare e riorganizzare l’esperienza di sé e il suo fondamento, tutte le volte che nuovi incontri con gli altri, cognitivi e affettivi, richiedono l’integrazione di ciò che è nuovo e diverso o, a volte, contraddittorio rispetto alle precedenti esperienze. Educatori e psicoterapeuti, per mezzo del loro coinvolgimento personale, agiscono da catalizzatori della trasformazione personale e, talora, della guarigione di un dolore psichico profondo e inibente derivante dal passato.
La mente rappresentazionale non produce una semplice riproduzione della realtà. È un processo attivo di organizzazione della realtà percepita che include, persino nella percezione stessa, il bisogno della funzione del credere. Kosslyn e Sussman  citano esperimenti in cui la percezione di un oggetto che cade dimostra la partecipazione del credere all'interno dell’atto della percezione stessa. Percezione e credere sono quindi intrecciati in modo inseparabile nella costruzione della realtà fisica, intrapsichica, interpersonale, e culturale che l’individuo incontra lungo il percorso dello sviluppo. Il processo del credere dipende dalle esperienze che hanno reso possibile una tipologia specifica di contenuto di fede. Quanti hanno incontrato adulti che hanno meritato la loro fiducia, saranno portati a credere che fidarsi di un altro sia un gesto affettivamente significativo. La fede nell'affidabilità di Dio è condizionata da questi tipi di esperienze.
Il bambino nasce indifeso e immaturo. Dopo il parto, le madri dispongono di neurotrasmettitori e di ormoni per mettere in atto comportamenti universali, spesso non consci, che rispondono in modo ottimale alla condizione immatura del bambino. Neuroscienziati, studiosi dello sviluppo, e psicoanalisti convergono nel descrivere la compenetrazione delle funzioni tra madre e bambino. Diamond, Balvin e Diamond affermano che «il ruolo delle strutture avanzate [del neonato] è gestito dalla madre: essa è la corteccia [cerebrale] ausiliaria del bambino».  Le funzioni mentali superiori della madre spronano il bambino a raggiungere nuovi stadi di sviluppo in un duplice modo: fornendo lei stessa ciò di cui l’immaturità strutturale dell’infante ha bisogno e invitando in modo affettuoso il bambino a tenersi al suo passo, la madre porta il bimbo ad integrare la funzione materna di supplenza nella propria psiche. L’intenzione della madre e del padre di comunicare con i propri bambini nelle loro interazioni emozionali quotidiane crea le condizioni per quattro aspetti essenziali dello sviluppo normale: aiutano il bambino a legarsi in modo sicuro alle loro persone, con vincoli affettivi che si manifestano in contatti corporei complessi ed espressioni facciali e verbali; creano nel bambino il desiderio di vicinanza e gettano le fondamenta del suo successivo desiderio di intimità; invitano costantemente il bambino a procedere verso il prossimo passo evolutivo; e infine incoraggiano la curiosità autonoma del piccolo e la sua disposizione esplorativa a scoprire, coinvolgersi, giocare e controllare il mondo circostante condividendo il suo stupore pieno di eccitazione. Il loro modo di aiutare la prole si intreccerà con le modalità di attaccamento emozionale del bambino, con il senso di sicurezza in se stesso, con lo stile di interrogazione e di interpretazione della realtà così come con lo stile di ricerca della verità presente nel giovane.
Le interazioni originarie con i genitori vengono assunte nelle rappresentazioni fondamentali di sé e dell’oggetto che condizioneranno le sue successive relazioni, inclusa la relazione con Dio. I processi psichici del bambino, con i quali egli interiorizza le interazioni con i genitori, con gli altri e si identifica con loro, illustrano una volta ancora, la compenetrazione della vita psichica degli adulti e del bambino nella formazione delle sue successive strutture psichiche.
Quando il bambino diviene capace di avere un’idea di ciò che la parola «Dio» può significare, farà ricorso alle rappresentazioni dei genitori per dare una forma a un essere di cui i genitori gli hanno parlato con riverenza, ma che è sorprendentemente assente dalla vita concreta.  Questa precoce rappresentazione di Dio contribuisce in modo significativo alla disposizione affettiva del bambino a relazionarsi con Dio, e può in seguito facilitare o impedire la fede in Dio offerta dalla religione. La relazione con i genitori, integrata nella mente del bambino come rappresentazione dei genitori e come precoce rappresentazione di Dio, segnerà decisamente la vita relazionale della persona.
Le rappresentazioni delle interazioni reali, vissute nella fantasia, e desiderate nella prima fase della vita vengono organizzate entro una realtà personale, una realtà psichica che colora la vita emotiva e la visione del mondo del ragazzo in formazione e persino del futuro adulto.


4. La realtà psichica

La realtà psichica è di una complessità impressionante. Raccoglie convinzioni formate personalmente, a partire da fatti, fantasie e desideri. Laplanche e Pontalis la descrivono come «ciò che nella psiche assume la forza della realtà per il soggetto».  È ciò che la persona crede sia reale. Tra il terzo e il quinto anno di vita, il bambino sviluppa un intenso senso di essere se stesso ed entra in un periodo di esuberanza e di auto-esaltazione narcisistica. La mente del bambino si espande rapidamente in tutte le aree cognitive, affettive, di esplorazione, autoriflessive, man mano che consolida il suo padroneggiamento del mondo. Il piccolo sperimenta se stesso come un Sé soggetto di azione. Egli scopre, inoltre, che le persone hanno le proprie opinioni e che fanno intenzionalmente quello che vogliono. La vita immaginaria del bambino cresce esponenzialmente, attribuendo intenzionalità alle azioni degli altri e creando complesse trame interpretative consce e inconsce che riguardano le interazioni tra le persone della famiglia. L’auto-investimento narcisistico del bambino sveglia il suo desiderio di essere il primo e il più amato mentre nello stesso tempo egli osserva che i genitori si amano l’un altro. Un importante conflitto, insieme esterno e intrapsichico, sfida il bambino. Non gli è possibile essere il numero uno; non può sentirsi alla pari con i genitori in quanto coppia; e i genitori gli chiariscono che un bambino è solo un bambino, e che loro sono i genitori. Il figlio o la figlia devono modificare la propria rappresentazione di sé per accettare se stessi come figli dei propri genitori e rimandare a «quando sarò grande» i loro desideri di essere al posto degli adulti. Questo è un momento critico in cui la tensione tra ciò che è desiderato e ciò che la realtà esige fa affrontare alla persona il compito, che dura tutta una vita, di integrare la realtà psichica con le realtà della vita. In questo momento il bambino si rende conto che è un essere creato dai suoi genitori e da Dio. E' anche il momento in cui le domande su Dio diventano importanti per il bambino, al fine di trovare la propria collocazione in rapporto alla divinità.
Nell’accettare la sfida dei conflitti, il bambino crea, manovre difensive e trame interpretative per dare senso a sé, in particolare in riferimento al divenire accettabile ed amabile come essere corporeo e psichico. Desideri e interazioni sognate che non sono accettabili con la visione cosciente che il bambino ha di se stesso diventano fantasie inconsce represse che organizzano l’inconscio psicodinamico del fanciullo e continueranno ad esercitare il loro influsso per il resto della vita della persona. Fantasie inconsce benigne richiederanno alla persona difese limitate per affrontare la vita in un modo realistico. Fantasie inconsce patologiche, influenzeranno profondamente la capacità del soggetto di amare, di avere intimità con gli altri, di avere una adeguata stima di sé, di lavorare, e persino di concepire un Dio benevolo. Ho pubblicato esempi di tali situazioni come il caso di una donna che vedeva Dio come nemico .
Gli atteggiamenti e le risposte dei genitori durante questo periodo richiedono grande sensibilità affettiva, un desiderio autentico di conoscere il bambino in quanto se stesso, la libertà emotiva di permettergli espressioni di sé positive e negative e di lasciargli esplorare il mondo. Essi devono aiutare il bambino a dare un nome alle sue paure, ai suoi desideri e al suo stupore mediante conversazioni intime e rispettose. Il bambino ha bisogno della loro guida gentile ma ferma per rinunciare a ciò che è impossibile avere, accettare le richieste della realtà quotidiana, e dirigersi verso il seguente passo evolutivo.
Le funzioni cognitive si sviluppano in una sequenza regolare e sono disturbate solo da patologie del cervello o da gravi psicopatologie. Il nucleo dello sviluppo della personalità dipende dalla vita affettiva del bambino che si mostra nelle comunicazioni verbali e corporee con l’altri e le convinzioni che il bambino si forma su di loro. Le comunicazioni corporee emotive sono di grande importanza nella formazione del senso del Sé e nella progressiva acquisizione della fiducia in sé, del rispetto di sé e della formazione di legami affettivi positivi con i genitori e con gli altri. Questo accade perché la vita affettiva è mediata dalle espressioni corporee di un partner e dai complementari effetti corporei ed emotivi del partner ricevente. Essere osservati da occhi che brillano, vedere una espressione sorridente e udire una voce calda e melodica indirizzata a noi, immediatamente ci suscita un caldo sentimento di benessere, di venire incontrati, e non solo da bambini ma a ogni età della vita. Eppure lo sviluppo e la vita relazionale non sono mai qualcosa di semplice. Se il bambino crede, che il comportamento dell’adulto non è sincero, allora ne può seguire una interpretazione difensiva di un invito affettuoso ricevuto dall’adulto, che può trasformarsi in rabbia e rifiuto poiché tale comunicazione gli apparirà come una trappola in cui si viene «ingannati» quando si risponde, e che provoca una ennesima ferita. Se una convinzione nevrotica porta il bambino a credere di non meritare una certa comunicazione affettiva calorosa, quell’invito sarà rifiutato. Era questo il caso di una donna che era convinta che dei poteri superiori avessero decretato che lei non avrebbe mai dovuto essere amata. Queste sono ovviamente situazioni di nevrosi. La maggior parte di noi nasconde dentro di sé versioni mitigate di queste complesse convinzioni basate su narrazioni elaborate nella nostra realtà psichica, le quali colorano tutte le nostre interazioni.
Perché la vita affettiva è così importante durante tutto il ciclo di vita? La risposta in breve è duplice: 1) noi diventiamo persone umane mediante esperienze di soddisfazione affettiva appropriate alla progressione dei nostri bisogni evolutivi; 2) la nostra configurazione genetica ci fornisce raffinati recettori che valutano la corrispondenza delle espressioni corporee degli altri – visive, vocali, facciali o mimiche – come utili o dannose in un momento specifico del nostro sviluppo personale. La precisione di questi processi automatici è sorprendente. Possiamo percepire una cattiva volontà anche nella minima espressione di un volto in una frazione di secondo. Inoltre, Shore afferma: «Il sistema di valutazione (appraisal) dell'essere umano fin dal suo sorgere e per tutta la durata della sua vita non è diretto esclusivamente a valutare l'esplicito comportamento altrui, ma anche a cercare di comprendere la mente altrui».  In conclusione, ciò che realmente conta è la disposizione dell'altro verso il Sé.
Il bambino arriva al periodo della scolarizzazione, e del catechismo, con un senso di Sé fondamentale ormai formato e una rappresentazione di Dio elaborata personalmente. A livello intrapsichico, l’organizzazione delle manovre difensive ha messo pensieri, sentimenti, e perfino sensazioni inaccettabili nella dimensione dell’inconscio psicodinamico, là dove paure e desideri irrealizzati rimangono attivi come parte del Sé non conscio. L’apprendimento sarà influenzato da questi processi a diversi livelli. L’apprendimento di materie pratiche come la geografia ecc. non sarà influenzato in un modo sensibile. Invece l’apprendimento che tocca la vita relazionale sarà colorato dalla realtà psichica del studente. La situazione diventa più complicata quando l’apprendimento ha a che fare con la presentazione del messaggio di Dio, l'offerta di relazioni e l’amore. Dio agisce visibilmente solo attraverso i suoi mediatori. Il ragazzo valuterà la verità che essi presentano non in base alla sua veridicità, ma a partire dal messaggio emozionale che genitori, catechisti, educatori religiosi o preti gli veicolano di fatto. Se il loro messaggio religioso giunge al giovane tramite una persona il cui contatto emotivo con il Sé del ragazzo è convincente e se l’atteggiamento dell’insegnante appare sincero e compatibile con il contenuto dell’insegnamento, allora si danno le condizioni perché egli possa credere. La persona diventa capace di separare la verità dell’insegnamento dalla persona che lo porge solo alla fine dell’adolescenza. Solo la testimonianza personale, affettuosa e rispettosa, è convincente per i giovani.
L’ultima parte dell’adolescenza comporta un significativo cambio strutturale in relazione alle figure genitoriali interiorizzate. Devono essere valutate nuovamente, confrontate con i genitori reali, e abbandonate come oggetti primari di attaccamento affettivo e insegnamento autorevole.  Comincia la ricerca di un compagno, compatibile con il proprio Sé, un Sé che ora percepisce pienamente la forza del proprio genere e del proprio orientamento sessuale capace di trovare complementarità, completezza e una nuova intimità. Nuove relazioni aprono la porta a dialoghi intimi e introspettivi e consolidano la convinzione ormai conscia che ciascuno necessita di un’altra persona per poter essere pienamente se stesso. Se il bambino è stato educato in un ambiente religioso, la domanda di una relazione con Dio può diventare intensa e far appello alla consapevolezza, caratteristica di questa età, del mistero dell’essere e all'anelito di poterlo incontrare in modo profondo. Questo è il momento più delicato per l’educatore religioso. Gli adolescenti sono alla ricerca di figure di riferimento, di maestri autentici che li ascoltino con profondo rispetto e che li indirizzino a lottare per i più alti obiettivi. Trovare un maestro simile può cambiare la vita per sempre. Gli adolescenti hanno bisogno di adulti dotati di profonda integrità e di larghe vedute per canalizzare la loro enorme vitalità verso ideali realizzabili che li indirizzino in modo sicuro sulla strada di un impegno personale in uno stile di vita caratterizzato da obiettivi di valore. Gli adolescenti non possono fare questo da soli. Torneremo ora su due questioni cruciali prima menzionate: il bisogno di una compenetrazione delle menti nella ricerca della verità e la possibilità di credere come atto assolutamente personale di impegno affettivo che coinvolge il Sé, al di là di una acquiescenza passiva alla verità proposta dagli insegnanti.
La presentazione di idee, credenze, valori, istanze morali, e altri aspetti dell'istruzione cristiana che portano ad una vita religiosa matura, non può essere solamente questione di verità. La verità che convince è quella che è vissuta profondamente nella compenetrazione di scoperte, pratiche, celebrazioni religiose e attività comunitarie condivise. Più di chiunque altro, gli adolescenti credono solo ai testimoni che mostrano con la loro vita ciò che predicano. Questo si collega all’idea che il credere è un atto psichico dell’intero Sé. La verità che «risuona» intellettualmente ed emotivamente con aspetti centrali del Sé produrrà convinzioni personali significative che meriteranno l’impegno dell’adolescente. Sto parlando di atti del credere che rendono possibile un impegno durevole, a motivo del fatto che ciò che si crede diventa componente integrale del Sé.
Quando questo stadio è compiuto, la persona comincia la vita adulta. Un adulto cerca e ha bisogno di una dedizione durevole e amorosa verso un altro, che sia una persona e/o Dio, che accresca e completi il Sé senza comprometterne l'integrità. Trovare una tale persona è il coronamento dello sviluppo del Sé e il culmine del processo evolutivo di compenetrazione.
Il compito centrale della vita adulta consiste nell’utilizzare strumenti psichici, emozionali, morali, religiosi e sociali al fine di mantenere e modificare adeguatamente gli impegni personali verso se stessi e verso gli altri nella realtà concreta della vita quotidiana, come il matrimonio, la genitorialità, la professione o la consacrazione religiosa. Necessariamente sorgeranno delle crisi in ciascuna di queste dimensioni. Eppure, un Sé che ha costruito la propria struttura su esperienze positive di compenetrazione di interazioni emotive personali e su dialoghi profondi e significativi con gli altri, troverà nella maggior parte dei casi le risorse interne necessarie ad affrontare e superare le crisi o a domandare aiuto. Gli adulti imparano che il vivere comporta sempre nuove sfide che obbligano a un costante processo di revisione personale per integrare le novità senza compromettere l’integrità del Sé. Le esperienze affettive del passato e gli ideali assunti profondamente aiutano la persona a tollerare l’incertezza, a lottare con conflitti morali esterni ed interni e a resistere alla tentazione di venire a compromessi con se stessi per compiacere gli altri o per ottenere il loro amore. Le esperienze del passato con un Dio personale, come sostegno interiore e come Essere reale che chiede fedeltà e amore, offrono al credente una profonda motivazione per mantenere i suoi impegni e la sua integrità personale.


5. Sviluppo patologico e trattamento psicoanalitico

La psicoanalisi si è evoluta, dal punto di vista teorico e clinico, dall’essere una psicologia centrata sull’individuo (one-person psychology) a essere una psicologia centrata sulla relazione (two person-psychology). L’osservazione dei bambini e degli adulti in analisi convinse i teorici della Scuola Britannica delle Relazioni Oggettuali della grande importanza della diade materna. Il lavoro clinico ha condotto Kohut a comprendere l’importanza dell’empatia nel lavoro clinico e dell’uso della persona dell’analista nell’aiutare il paziente a riparare il proprio sviluppo patologico. Nuovi gruppi di analisti che propongono teorie interazionali, interpersonali e intersoggettive, possono divergere a proposito di ciò che è più importante, ma tutti sono d’accordo sulla necessità di una immersione mentale profonda e affettiva di entrambe le persone nel processo analitico se si vuole che il trattamento sia efficace. Tutti affermano che l’analisi è contemporaneamente un processo profondamente guidato da regole ma anche spontaneo, non diversamente dalla maternità, il quale richiede all’analista un profondo investimento personale per scoprire ciò che realmente il paziente sta sperimentando, sia in quanto adulto attuale, sia in quanto persona che è regredita a momenti infantili di desiderio e di sofferenza. Gli analisti hanno scoperto di aver bisogno di una sorta di «preoccupazione materna» per diventare capaci di ascoltare i lamenti e i sussurri del dolore della persona che non hanno mai trovato espressione. Hanno scoperto che portare alla luce i conflitti nascosti e gli attaccamenti patologici dell’analizzando è possibile solo nel contesto di una relazione affettiva con l’analista e di una attenzione precisa alle parole del paziente e alle parole che lui stesso rivolge all’analizzando.  Gli psicoanalisti sanno che la regressione del paziente ai conflitti irrisolti porterà a creare conflitti con l’analista in quanto persona che risveglia le esperienze dell’infanzia con i genitori e con altri. Tale regressione consente di rivisitare nel presente le sofferenze, i conflitti e le difese del passato. Il paziente incontra nel coinvolgimento emozionale con l’analista la possibilità di ri-trovare se stesso come bambino sofferente il quale, ora, da adulto, può riparare il proprio percorso evolutivo. Il successo del trattamento dipende dalla capacità dell’analista di porre ascolto nello stesso tempo al bambino e all’adulto, mentre sostiene il paziente nel trovare, tollerare, accettare ed elaborare il nucleo inconscio dei sentimenti che turbano la sua vita emozionale. La capacità dell’analista di empatizzare e di articolare le esperienze infantili e attuali del paziente sono elementi cruciali per aiutare l’analizzando a rimodellare le distorsioni evolutive. La cura psicoanalitica non può essere realizzata senza le condizioni di intimità emozionale che sono le condizioni critiche per lo sviluppo: 1) la compenetrazione dell’esperienza affettiva tra il paziente e l’analista; 2) che l’analista mostri di credere con affetto che la sofferenza della persona sia reale; e 3) la capacità dell’analista di rivolgersi al paziente regredito con parole, toni di voce e intenzioni personali animate dal desiderio di incontrare il suo mondo emotivo mentre lo aiuta ad articolare in parole l’esperienza soggettiva del momento. L’obiettivo analitico è raggiunto quando l’analizzando crede che quello che stanno dicendo insieme è vero, cioè che la verità scoperta insieme può dare senso alla vita del paziente. Nell’analisi come nella vita, la verità esige di essere confermata dalla testimonianza personale dell’altro per essere accettata e diventare trasformativa.


6. La presenza del mistero

Scrive Imoda: «Il mistero nei suoi vari aspetti è precisamente questa presenza che rimanda a qualcosa di più, è presenza e assenza nello stesso tempo, qualcosa che è e non è».  La prima manifestazione della ricerca per il «di più» appare quando il bambino di due anni e mezzo comincia ad interrogare l’adulto sull’origine delle cose. Il bambino piccolo è un implacabile investigatore e quando dal genitore arriva una risposta, il bambino prosegue con la successiva domanda fino a quando il genitore dice: «L’ha fatto Dio». «Da dove viene Dio?» chiede il bambino. Il genitore risponde: «Nessuno ha creato Dio ma Lui ha creato ogni cosa». E il bambino: «Posso vederLo?» «Beh…» – dice la madre – «Dio è invisibile». Il mistero ha iniziato a dare alcuni indizi della sua insolita «presenza». Cosa farà il bambino piccolo di questo essere misterioso? Il momento è cruciale, poiché «Dio» esige una figura di riferimento. Una ricerca profonda e automatica trova nelle rappresentazioni dei genitori alcuni punti di contatto emozionale che confermano inconsciamente e consciamente la rappresentazione di Dio. La conferma include quel «di più» rispetto alle rappresentazioni dei genitori che un Dio presente in modo misterioso richiede. Una volta formata la rappresentazione di Dio seguirà alcune, ma non tutte, fra le vicende relazionali con i genitori, perché acquisterà una vita propria sotto l’influsso dell’esperienza del bambino, delle sue esplorazioni, delle preghiere, delle attività liturgiche e dell’istruzione religiosa.
Un secondo momento di sviluppo giunge verso i sette anni di età. Potrebbe esser visto come una felix culpa. Il bambino impara a mentire ai genitori. Il nuovo comportamento porta a una scoperta decisiva: il bambino è solo nel suo mondo personale; non ci sono testimoni della sua bugia. Si è aperto un grande vuoto tra lui e i genitori. Il forte bisogno di un testimone interno conduce il bambino ad affidarsi al suo Dio, che è già presente perché è sempre lì, ovunque, infallibilmente. Se il Dio intuito dal bambino è benevolo e accogliente, il bambino ha trovato un compagno durevole. Se, invece, il Dio di un particolare bambino è severo, lo disapprova, o la fa sentire vergognoso e non amabile, possiamo avere la situazione di Bernardine Fisher, la quale non poteva rinunciare a credere in Dio ma diceva: «Considero Dio il mio nemico».  Tra queste due estreme posizioni tutto è possibile nella relazione con un Dio personale. Dio, l’essere misterioso, è diventato una presenza permanente, una presenza con cui si può lottare, nel bene e nel male, per tutto il resto della vita.
La pubertà e l’adolescenza sfidano Dio come sfidano tutti gli adulti. Dio smette di essere una divinità domestica e personale e diventa una realtà in se stessa, universale, normativa, un essere che è. A questo punto Dio diventa realmente un Mistero, poiché il giovane è ora consapevole che Dio eccede ogni cosa conoscibile, immaginabile o controllabile. Dio è oggetto grandioso di speculazioni complesse; eppure in questo momento Dio è visto più come legislatore che come Dio di amore. I ragazzi che vivono la parte centrale e finale dell’adolescenza, sperimentando l’esplosione dello sviluppo cognitivo, simbolico, sessuale ed erotico, cominciano a interrogarsi su misteri così profondi come l’amore, la vita, le diversità, l’identità, il significato dell’universo e Dio come essere personale. Lo sviluppo sessuale contribuisce in modo significativo a rendere conscio il desiderio di compenetrazione psichica e sessuale con l’essere della persona amata. Quella che è stata finora una legge inconscia e dominante nello sviluppo, cioè la compenetrazione tra l’ambiente umano e l’individuo che si sviluppa, raggiunge ora il suo culmine nel desiderio conscio e permanente del cuore umano: la comunione con l’altro. Questa comunione tuttavia è un’esperienza insieme reale ma inafferrabile che tocca il mistero dell’essere umano.
La capacità di una vita vissuta nella presenza e nell’assenza del Mistero e/o di Dio non può svilupparsi spontaneamente dall’individuo. Il Mistero deve essere presente nella vita della comunità e delle persone che hanno il compito di far crescere l’individuo. Eppure questo non è sufficiente. Gli adulti devono offrire un atteggiamento che invita allo stupore, un profondo rispetto per i processi di pensiero critico del giovane, della sua libertà e delle sue esplorazioni. L’individuo che cresce deve fare una scoperta personale del Mistero e trovare in se stesso la fonte della venerazione. Imitare la venerazione degli altri, per quanto possa essere sincera, non è sufficiente. Come qualsiasi altra realtà nello sviluppo, o il Mistero emerge nell’individuo come risultato della compenetrazione affettiva dei Sé personali oppure rimane soltanto una considerazione intellettuale.


7. Le parole di Dio

Una psicoanalista può rivolgersi ai testi biblici per cercare quello che essi rivelano a proposito della struttura umana, dello sviluppo e della relazione tra il Creatore e l’umanità creata. Leggiamo nella Genesi: «Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). Il testo sacro continua: «Per questo l’uomo abbandonerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una sola carne» (Gen 2,24). Questi testi mi suggeriscono due cose: primo, Dio ha posto nel profondo del cuore di ogni essere umano la sua propria immagine, qualcosa che io interpreto come il modo di Dio per vivere la compenetrazione di essere tra Creatore e creatura, la quale trova la sua più ovvia manifestazione nella capacità esclusivamente umana di amare un’altra persona. Secondo, Dio ha creato gli esseri umani sessuati, capaci di divenire una carne nella compenetrazione delle persone in relazioni intime e, più specificamente, nell’amplesso.
Giovanni ci dice che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14). La definizione teologica di questo mistero afferma che in Gesù c’è una sola persona in due nature. Questa è una compenetrazione di essere che eccede qualsiasi nostra immaginazione. Gesù stesso nella sua preghiera al Padre prima di morire disse: «Che siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità […]» (Gv 17,22s). La Chiesa fa eco alla preghiera di Gesù quando prega nella messa: «L’acqua unita al vino sia segno della nostra unione con la vita divina di colui che ha voluto assumere la nostra natura umana». Nell’Eucaristia Gesù diviene cibo che deve essere assunto. Recentemente il Papa Benedetto XVI ha affermato durante la festa del Corpus Domini: «Questa comunione, questo atto del “mangiare”, è realmente un incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare (corsivo mio) dalla vita di Colui che è il Signore, di Colui che è il mio Creatore e Redentore. Scopo di questa comunione è l’assimilazione della mia vita alla sua, la mia trasformazione e conformazione a Colui che è Amore vivo».
Sia l’Antico che il Nuovo Testamento presentano Dio come sposo, legato da un matrimonio di alleanza (Os 1-3; Ger 3,1-5; Ap 21,2). Paolo, parlando del matrimonio, dice: «Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla chiesa!» (Ef 5,32). Come nella relazionalità umana, il culmine della relazione tra Dio e il suo popolo è la comunione sponsale.
La conclusione mi sembra evidente: secondo la Sacra Scrittura, Dio partecipa allo sviluppo umano seguendo il ben noto schema della compenetrazione delle persone. Primo, egli imprime la sua immagine in noi, come fanno le madri e i genitori; in seguito diventa uno di noi nella compenetrazione unitaria delle nature nella persona di Gesù. Infine, egli entra in comunicazione con noi nell’Eucaristia, che è un'anticipazione della festa nuziale nel Regno dei cieli.


8. Conclusione

Questa rassegna delle neuroscienze, degli studi evolutivi e della psicoanalisi suggerisce che lo sviluppo di una persona matura, capace di profondo impegno durante la sua intera vita, è condizionato dai continui processi di compenetrazione con l’ambiente, gli altri, e, per i cristiani, anche con Dio. La compenetrazione affettiva degli esseri condiziona la possibilità della formazione di un Sé veramente capace di credere in se stesso, negli altri, in obiettivi e ideali, e in Dio, poiché ciò che è creduto è conforme al Sé. Questo Sé è disponibile per un impegno duraturo.
Ne segue una conseguenza per genitori, educatori e pastori nella Chiesa. Uno sviluppo maturo non può essere raggiunto solo mediante un insegnamento cognitivo, a prescindere dalla sua verità. La maturità umana proviene dai processi di compenetrazione con persone capaci di offrire in loro stesse e nel loro modo di essere la risposta appropriata, che la persona in crescita necessita di integrare nel suo essere personale, per poter raggiungere il successivo stadio evolutivo. Lo sviluppo è il processo infinito di assimilazione degli altri, ma anche di rifiuto di loro e di ciò che offrono quando non si adatta ai bisogni evolutivi di un particolare stadio. Forse questo è il più grande mistero nel Mistero: che noi non siamo mai pienamente noi stessi se gli altri non entrano a costituire parte della stessa struttura del nostro essere biologico e psichico. Forse questo è il modo ontico di Dio di farci conoscere che noi siamo effettivamente solo delle creature.


Presentazione del volume "Persona e Formazione"  in onore di p. Franco Imoda S.J.
Roma, 30 marzo 2007