Alla ricerca di un rapporto riconciliato uomo-donna e marito-moglie


Paola Magna
Tredimensioni 1(2004) 1, 59-76
 


Quale identità femminile e maschile oggi?

Negli ultimi decenni abbiamo assistito a notevoli mutamenti nella relazione uomo-donna: la condizione della donna è molto cambiata, ma questa liberazione sul piano dell’agire sembra non aver risolto i suoi problemi profondi. Credendo di doversi liberare dal dominio dell’uomo, ha assunto schemi maschili a scapito della propria femminilità, contraddicendo la sua natura profonda.
La donna continua tuttora una certa ricerca della propria identità, ma nello stesso tempo assistiamo oggi ad una crisi più profonda dell’identità maschile. “Si impongono alcune domande: come sta mutando l’identità maschile in relazione all’emergere della coscienza femminile della differenza? Si sta passando da un’identità maschile forte ad una debole? Come evitare che l’identità dell’uomo e della donna si definiscano in modo gerarchico? E’ possibile sfuggire ai rischi di una maschilità universalizzata e a quelli di una maschilità definibile in rapporto alla natura umana femminile?”
Di fronte ad una donna cambiata, l’uomo non può più usare i vecchi schemi di riferimento e ne nasce uno smarrimento generale che si riflette soprattutto nel rapporto di coppia. Non è facile capovolgere alcuni punti di riferimento ritenuti come valori: “considerare prepotenza alcuni aspetti esaltati un tempo come propriamente “virili” e riabilitare quelle dimensioni femminili represse come il lato debole ed oscuro dell’umano (non piangere, non obbedire ad una donna, non servire…)”.
Possiamo affermare che sia per gli uomini sia per le donne mancano dei punti di riferimento credibili nella ricerca di nuovi modelli di identità: possiamo parlare quindi di una fragilità della femminilità e della mascolinità. La Di Nicola afferma: “Negli ultimi decenni si è giunti alla convinzione che solo dopo un previo lavoro di rifondazione del femminile e del maschile, come epistemologia ed etica, sarà possibile un’interpretazione della realtà a due voci, quelle che costituiscono l’umanità come uomo e come donna, nella reciprocità delle prospettive” .
In ogni caso va preso atto che, rivoluzionando la percezione dell’identità femminile, le donne hanno contribuito a mettere in crisi quella maschile. Si assiste infatti ad una crescente presenza di identità maschili disturbate: aumento della violenza, omosessualità, crescita della domanda maschile di prostituzione, tendenza a gestire in maniera autarchica la sessualità e la procreazione (facendo a meno dell’altro genere). Tutto questo ci porta ad una revisione delle categorie mentali tradizionali.
Mentre la donna da tempo sta riflettendo su di sé e sulla sua identità, ci si domanda come si è potuto andare avanti così tanto senza interrogarsi sull’identità maschile. Si avverte di conseguenza uno squilibrio di crescita causato dalla mancata presa di coscienza maschile delle dinamiche relazionali.
Giovanni Paolo II così affermava nell’esortazione apostolica sulla vita consacrata: “La nuova coscienza femminile aiuta anche gli uomini a rivedere i loro schemi mentali, il loro modo di autocomprendersi, di collocarsi nella storia e di interpretarla, di organizzare la vita sociale, politica, economica, religiosa, ecclesiale”. (Vita Consecrata n. 57)
I tempi sembrano più maturi per affrontare insieme le problematiche sull’identità maschile e femminile: solo rimettendo in discussione anche l’uomo, la domanda sulla donna ha senso.


Scambio tra diversi

A livello di processi di formazione dell’identità di genere, sono importanti le prime esperienze dell’infanzia.  Il processo di “identificazione” del figlio col genitore dello stesso è fondamentale. Questo processo però può essere facilitato oppure ostacolato dall’altro genitore, rendendo più complessa la crescita del figlio o della figlia.
Per entrambi, il “primo oggetto d’amore” è la madre: il maschio poi deve spostare la sua attenzione ed il suo investimento emotivo verso il padre, per identificarsi con lui, ed è importante che la madre glielo permetta! La femmina si identifica con la madre e deve spostare l’investimento d’amore verso il padre.  Il periodo cruciale dello sviluppo di ciascuno è quello compreso dai 3 ai 5 anni, chiamato dalla corrente psicoanalitica “complesso d’Edipo”.
Ritornare quindi alle dinamiche triadiche vissute (madre-padre-figlio/a), può essere utile per comprendere meglio le proprie caratteristiche attuali di maschi o femmine, alcuni blocchi o difficoltà.
Sembrano più deleteri, ai fini della formazione di una buona identità femminile e maschile, un padre debole, e poco significativo, e una madre affettivamente fredda e distante. “Un ruolo decisivo spetta alla figura dei genitori, per il rapporto che essi hanno tra di loro, per il ruolo autorevole del padre, per l’atteggiamento che egli mostra nei confronti della madre (fiducia, stima, denigrazione…) e correlativamente della madre nei confronti del padre (stima, insofferenza, dedizione, fiducia…), per il peso che ha il padre all’esterno della famiglia (nonostante il nuovo diritto di famiglia egli è, ancora nella stragrande maggioranza dei casi, il “capofamiglia”).”
Uomini e donne dovrebbero essere più consapevoli delle loro caratteristiche peculiari, sia come doni e ricchezze, sia come limiti.  Solo allora potranno vivere una relazione, un incontro più arricchente ed efficace, perché ciascuno avrà qualcosa da dare e qualcosa da ricevere: è questa la maturità dell’amore vero.
Qualche esempio di scambio tra diversità:
* La donna con la sua “continuità emotiva” (le emozioni che vive sono compresenti e costanti dentro di lei, quasi in una sorta di stratificazione di emozioni diverse), capacità intuitiva e attenzione alle sfumature, alle piccole cose, potrà aiutare l’uomo ad armonizzare il suo approccio alla realtà, spesso più settoriale e disattento nelle relazioni.
* L’uomo a sua volta, nella sua maggior semplicità e capacità di arginare le emozioni, di concentrarsi su una cosa alla volta, aiuterà la donna quando complica le cose e le amplifica troppo emotivamente, quando tende a rimuginare sulle stesse cose, usando il pensiero in modo emotivo.
Si tratta proprio di due approcci diversi alla realtà, di due “mondi” a volte opposti: un autore americano ha intitolato così un suo libro “Gli uomini vengono da Marte, le donne da Venere” e approfondisce in modo interessante la diversità in tutto tra uomini e donne: “Non solo i due sessi comunicano in modo diverso, ma pensano, sentono, percepiscono, reagiscono, amano, provano bisogno e giudicano secondo differenti modalità. Sembra che quasi provengano da pianeti diversi, perché parlano lingue diverse e diverse sono le loro necessità.”
Occorre che questo sia tenuto presente anche nell’educazione, soprattutto di preadolescenti e adolescenti: gli educatori possono aiutarli a scoprire le proprie caratteristiche in quanto maschi e femmine, i limiti e le ricchezze della mascolinità e della femminilità, così che siano aiutati alla formazione di una chiara identità personale. Tale formazione è alla base di un incontro arricchente poi con l’altro sesso, base per un futuro rapporto di coppia più maturo e soddisfacente.


Differenze irriducibili

Verso la fine degli anni ’80, ha preso l’avvio l’elaborazione filosofica di quello che è stato chiamato il “pensiero della differenza sessuale”, un pensiero nuovo che sostanzialmente pone degli interrogativi sul significato antropologico ed etico dell’essere maschi e femmine, originariamente diversi. Per ora, questo è portato avanti quasi esclusivamente dalle donne, tra cui le teologhe cristiane.

Prendere atto di una differenza irriducibile vuol dire accettare che tra uomo e donna c’è una distanza che deve rimanere tale. Infatti il concetto di uguaglianza presupponeva che le donne si facessero uguali a qualcosa di già prestabilito. Comincia invece ad affermarsi l’idea che l’uguaglianza si possa pensare tra due poli che non si possono ricondurre ad uno solo di essi. “Pensare la differenza non vuol dire rinunciare alla parità, né tornare a ruoli e funzioni rigidi e separati. Pone invece le premesse (…) per una trasformazione globale che si fonda sulla ricerca di un rapporto riconciliato tra uomo e donna.”  La differenza è inclusa a livelli diversi: “all’interno della singola persona, come elemento da integrare in rapporto alla totalità, e nella relazione interpersonale, come stimolo all’incontro nella reciprocità”.  Per questo si parla di “antropologia inclusiva”, capace di coniugare uguaglianza e differenza.  Giovanni Paolo II nella “Mulieris dignitatem” ha affermato in modo forte ed autorevole l’uguaglianza fondamentale fra l’uomo e la donna. Nello stesso tempo però si tratta di recuperare il valore della differenza, a partire dalla differenza sessuale, concepita in modo nuovo rispetto al passato.
Nel caso della donna infatti le componenti sessuali hanno inciso pesantemente sulla sua condizione, facendone quasi una proprietà esclusiva da parte di un uomo e imponendole una sorta di ambito obbligato di realizzazione di sé (maternità, casa, servizio…).
La conflittualità uomo-donna nasce proprio dall’individuazione della femminilità sul piano della sola “funzione”, ricondotta al suo corpo di fecondità, sempre e comunque interpretata “in funzione” del maschio. La donna viene così definita secondo i termini funzionali di vergine, sposa, madre (non succede la stessa cosa per l’uomo). “Può mai la donna essere circoscritta alla sola funzionalità sessuale? Può esaurirsi l’identità, la ricchezza, la peculiarità femminile nel circolo fisiologico del generare? E questo generare perché mai ha solo per la donna gli esiti debilitanti, inibenti (soggettività e parola), che viceversa il generare maschile non ha, identificato com’è alla “potenza” senza scarti?”  Malgrado alcuni passi fatti, sembra continuare a persistere il rischio di una riduzione della donna alla sua corporeità disgiunta dalla sua dignità di persona.
Nella “Mulieris Dignitatem” si è tentato di dare una lettura valoriale della verginità e della maternità, indagandone il significato simbolico:
* La verginità come segno della libertà e dell’autonomia della persona (uomo – donna) rispetto alla sessualità.
* La maternità come capacità di dono disinteressato, simbolo della vocazione e perfezione della persona umana, di ogni persona, chiamata a compiersi nell’autotrascendenza dell’Amore.
In questo modo viene vista la femminilità come “paradigma” dell’umanità. E’ da qui che può nascere un nuovo approccio alla differenza sessuale. La femminilità si pone come “presenza” capace di arricchire con un approccio originale, con uno sguardo diverso, l’esperienza umana globale.
Accogliere la differenza allora significa impegnarsi in un’opera di reintegrazione dell’umano, nella società, nella politica, nella storia.
Si impone innanzitutto un mutamento nella cultura: i procedimenti mentali e i linguaggi femminili, benché improntati alla comune razionalità, possono risultare “diversi” rispetto a quelli maschili, ma non sono meno incisivi, meno capaci di costruttività, anzi a volte possono essere in grado di cogliere più direttamente l’essenza della questione in gioco…“Per migliorare la relazione tra i sessi è necessario possedere una comprensione delle nostre differenze che potenzi la stima di sé e la dignità personale ispirando al tempo stesso fiducia reciproca, senso di responsabilità, voglia di cooperazione e amore.”


Rinominare la realtà a due voci

Negli ultimi decenni si preferisce usare il concetto di reciprocità piuttosto che di complemetarietà:
* La reciprocità indica meglio i valori di corresponsabilità, partecipazione, donazione per un cammino da realizzare insieme; porta al riconoscimento dell’altro in quanto persona e questo porta poi al dialogo, all’incontro ed all’intesa.
* La complemetarietà: sottolinea di più la diversità, caratterizzando l’uomo e la donna come personalità incomplete, che hanno bisogno l’uno dell’altra appunto per completarsi.
Lo stesso femminismo “nuova fase” mira a realizzare tutti insieme, uomini e donne, la reciprocità del pensare e dell’agire al maschile e al femminile.
Il rispetto delle differenze è il valore chiave del concetto di reciprocità. Facciamo qualche esempio  (pur tenendo conto che è sempre rischioso generalizzare e che in ogni persona c’è un polo femminile e un polo maschile, compresenti):
* Gli uomini di solito danno importanza al potere, alla competenza, all’efficienza e ai risultati. Vivono mettendosi continuamente alla prova e tentando di sviluppare la loro abilità. Si sentono realizzati soprattutto attraverso il raggiungimento di determinati obiettivi e il successo. A loro interessano in genere più gli oggetti e le cose, delle persone e dei sentimenti. E’ motivo di orgoglio fare tutto da sé.
* Per le donne sono importanti soprattutto l’amore, la comunicazione, la bellezza e i rapporti interpersonali. Il loro senso del sé si definisce attraverso i sentimenti e la qualità delle relazioni. Si sentono realizzate tramite la partecipazione e la relazione. Le relazioni sono quindi più importanti del lavoro e degli obiettivi da perseguire. L’espressione di sé, e soprattutto quella dei propri sentimenti, e la comunicazione sono di importanza capitale. Dimostrare attenzione alle necessità e ai sentimenti altrui è per loro motivo di orgoglio. Il poter parlare crea intimità. Quando le donne parlano dei loro problemi sono portati d’istinto ad offrire soluzioni.
Di conseguenza, per una donna un modo per entrare in sintonia con un uomo dovrebbe essere quello di dare sempre per scontata la sua capacità di risolvere i problemi, finché non è lui stesso a chiedere aiuto. Nello stesso tempo è necessario che gli uomini ricordino che le donne parlano dei loro problemi per accrescere l’intimità e non necessariamente per ottenere delle soluzioni…
Questo modo di affrontare la differenza porta a non dare valutazioni su quale sia il modo migliore di affrontare la realtà. Ne nasce allora una parità di relazione, evidenziata e significata dalla differenza sessuale, che deve attuarsi nella reciprocità. Si evidenzia così il porsi in comunione di due soggetti autonomi e liberi.
La patologia, a cui assistiamo oggi, del rapporto uomo-donna (sterilità, violenza, omosessualità…) rivela una crescente insoddisfazione che racchiude una domanda di qualità superiore. Un segnale positivo di questo è la tendenza a modulare il rapporto più sul modello dell’amore/amicizia che sulla tradizione, più sulla flessibilità che sulla divisione di ruoli. Ma l’amicizia esige anche comunanza di progetti.
Possiamo dire allora che per una soddisfacente relazione di reciprocità è sempre più importante la capacità di rispettare l’alterità dell’altro/a.
In particolare, le coppie stanno vivendo oggi una situazione di passaggio: non si vuole più ricadere in modelli tradizionali, ma è difficile inventare una nuova modalità di rapporti. Sono le donne che spesso vivono forti disagi nella vita di coppia e chiedono il divorzio più degli uomini. Sempre più frequenti sono i singles: assistiamo così a labilità nei legami, moltiplicazione di rapporti a sfavore di un approfondimento qualitativo. In questa situazione si colloca oggi la reciprocità come orientamento nuovo da dare ai rapporti uomo/donna, capace di portarli a livelli più alti, facendo loro compiere anche un passo in avanti.
La reciprocità diventa allora una costante tensione allo scambio profondo, all’unità nella differenza, unità che un uomo e una donna ricercheranno per tutta la vita con difficoltà. “La reciprocità è anche scuola di discernimento” .

Va recuperato il passato, il presente e il futuro. L’orizzonte della reciprocità contiene però in sé una ineliminabile dimensione utopica: suppone che una persona possa conoscersi solo se si riconosce in un’altra, profondamente diversa. Reciprocità non è solo un “essere con”, ma è soprattutto un “essere per…”, verso livelli migliori del rapporto, verso la comunione il più completa possibile. Nella realtà quotidiana questa comunione è invece incompleta, esposta ad equilibri precari, ai condizionamenti della psicologia di ciascuno, della cultura, della formazione ricevuta… Intendere la relazionalità come reciprocità significa riconoscere che alla tensione dell’io verso il tu corrisponde la reciproca tensione alla trascendenza.
Un’accusa rivolta ad una certa concezione di reciprocità è quella di limitarsi alla dimensione espressivo-affettiva, tralasciando quella intellettiva, quasi che il rapporto interpersonale possa essere modulato solo sull’amore. Il femminismo ha denunciato l’interpretazione unilaterale del mondo, visto solo dall’ottica del pensiero.
Si può concludere dicendo che senza reciprocità non può esservi vero amore. “L’esigenza contemporanea di rinominare la realtà a due voci è da intendere come un voler riconiugare il maschile e il femminile nella feconda dialogicità che è costitutiva dell’umano (…). Nella reciprocità si evita di definire che cosa è il maschile e che cosa è il femminile. (…) Il maschile e il femminile rimandano l’uno all’altro. (…) L’uomo e la donna sono indefinibili proprio perché il loro rimando è radicato nell’Altro.”
Nell’ottica della reciprocità si rende evidente la dimensione sponsale della persona, il suo essere chiamata a stabilire relazioni segnificative non solo con gli altri, ma anche con Dio. “Ciascuna donna e ciascun uomo, nella reciprocità del riconoscersi, apprende l’umiltà del suo essere limitato, la necessità di riconoscersi nell’altro, di stimarsi nella stima dell’altro, di essere in rapporto con lui/lei, alternativamente”  ora l’attivo ora il passivo, ora il discepolo, ora il maestro.


Il cammino verso una relazione riconciliata

Dopo aver considerato l’identità femminile e maschile, la differenza sessuale irriducibile, vissuta come ricchezza nella reciprocità, possiamo ora delineare qualche aspetto di un cammino aperto al futuro: quello di una relazione riconciliata uomo/donna.
Questo tipo di relazione è innanzitutto motivato per noi credenti dalla visione biblica della creazione: è il sogno di una relazione armoniosa voluta da Dio stesso. I due generi in relazione manifestano una visione più completa di sé, di Dio, del mondo. E’ il desiderio di conoscersi e di ri-conoscersi nella distinzione di identità diverse. E’ la voglia di abbattere la rigidità della contrapposizione, di bloccare la tentazione di risolvere le differenze nell'identità del più forte: infrangere così la mentalità del possedersi e dell’appropriarsi. Una relazione riconciliata, con il senso della diversità, può recare vantaggi sia agli uomini che alle donne.
Le radici, il fondamento di questo approccio sono in un’antropologia dialettica, della riconciliazione: dialettica significa paradosso da rispettare e non da risolvere. Quindi è fatta di opposti irriducibili l’uno all’altro, che si richiamano ma mai si sovrappongono. Il processo dialettico si muove verso l’interazione che tuttavia non è mai completa. Ogni integrazione crea una nuova opposizione dialettica e una nuova tensione dinamica.
In questo modello antropologico l’esistenza si svolge all’insegna della dialettica che, quindi, coinvolge anche le relazioni interpersonali e in particolare il rapporto uomo/donna.
In questa prospettiva, il conflitto è un’espressione di tale situazione dialettica di vita: esso appartiene al livello ontologico dell’esistenza (quindi è presente in ogni persona in quanto tale). Diversi invece sono i conflitti caratteriologici, segno della limitazione dell’Io e altamente individuali. Le soluzioni di tali conflitti non aboliscono mai la conflittualità a livello ontologico. Si tratta allora di risolvere “i conflitti” per rimanere “nel conflitto”: l’armonia dialettica si realizza sempre dentro ad un contesto di sana tensione.
La persona riconciliata, i rapporti riconciliati rimangono in una situazione di instabilità. Questo è particolarmente vero nella relazione di coppia. La Familiaris Consortio ci ricorda che l’amore maturo è la sintesi di pienezza e di croce: “Lo Spirito che il Signore effonde, dona il cuore nuovo e rende l’uomo e la donna capaci di amarsi, come Cristo ci ha amati. L’amore coniugale raggiunge quella pienezza a cui è interiormente ordinato, la carità coniugale, che è il modo proprio e specifico con cui gli sposi partecipano e sono chiamati a vivere la carità stessa di Cristo che si dona sulla croce… Gli sposi sono pertanto il richiamo permanente per la chiesa di ciò che è accaduto sulla croce; sono l’un l’altra, e per i figli, testimoni della salvezza, di cui il sacramento li rende partecipi. Di questo evento di salvezza il matrimonio, come ogni sacramento, è memoriale, attualizzazione e profezia.” (n. 13)
In seguito a ciò che è stato approfondito precedentemente, possiamo affermare che il punto di partenza per una relazione riconciliata è l’ascolto reciproco delle diversità, perché non basta prendere atto della loro esistenza. Se è reciproco, comporta la disponibilità a cogliere la novità e l’imprevisto, rispetto a ciò che ci si attende dall’altro/a. “Alcuni cammini riguardano le donne: prendere coscienza dell’autorevolezza della propria parola; non livellare i propri comportamenti al maschile, ma sottolineare la diversità femminile soprattutto in campo intellettuale, sconfessando la pretesa neutralità della scienza, dell’economia, del linguaggio; occupare tutti gli spazi partecipativi senza l’obbligo, o la pretesa, di essere sempre le “più brave” .
Agli uomini invece spettano altri percorsi: rendersi conto di aver pensato se stessi, Dio e il mondo in modo soggettivo e parziale (con questa consapevolezza la stessa parzialità può diventare ricchezza); passare da una categoria logica “impersonale”, neutra, ad un modo di pensare che riconosca le persone nella loro realtà sessuata di maschi e femmine (questo nella considerazione del mondo, delle strutture, delle leggi, del lavoro…).
E’ invece compito di entrambi riconoscere la propria identità, responsabilità e missione; costruire nella società civile e nella Chiesa la possibilità di vivere fino in fondo la propria diversità personale nella diversità di genere.
Questo itinerario comporta per tutti la necessità di una revisione degli stili di rapporto e questo implica inevitabilmente difficoltà e fatiche. Occorre un’educazione all’ascolto, all’accettazione nella diversità; la ricerca di un nuovo tipo di relazione sessuale, che segua il criterio della diversità riconciliata , per arrivare all’unità nella diversità.
Così uomini e donne possono diventare “compagni di viaggio”, per approfondire e ricercare insieme, conoscere insieme l’approccio maschile e femminile alla realtà.

Cari uomini,
esistono l’uomo e la donna,  e l’uno non definisce l’altra né dettano le regole uno per l’altra, ma sono in relazione e lo sono nella consapevolezza della loro reciproca, uguale parzialità.
Questa parzialità può diventare ricchezza se anche voi diventate consapevoli della vostra. La vostra sicurezza che l'identità maschile si identifica con la verità oggettiva e universale, la vostra paura di mettervi in discussione, l'accento posto sul corpo delle donne e non sull'interezza della nostra persona, ci fa pensare che affrontiate il conflitto delle differenze sessuali con la logica della contrapposizione e la sfida di chi sia più forte.
Sembrate gareggiare con noi per riappropriarvi della vostra identità minacciata.
Vi chiediamo di prendere atto di una differenza irriducibile: accettare che fra uomo e donna c'é una distanza che deve rimanere tale. Porta alla guerra dei sessi se le differenze vengono affrontate con gli schemi di potere/sottomissione, vincitore/vinto, superiore/inferiore, positivo/negativo. Non sarà guerra se le differenze sono vissute come parzialità dei due generi, con la coscienza che metà della terra si sente in ricerca dell'altra metà perché i due generi, in circolarità comunicativa, portano ad una visione più completa di sé, di Dio, del mondo e dei suoi problemi.
Dobbiamo imparare ad interpretare la realtà in modo diverso, non escludente.
Provate a cogliere la novità e l'imprevisto rispetto a ciò che vi attendete dalla controparte. Provate a stimare la nostra interpretazione della realtà.
Le vostre compagne di viaggio


Applicazione psico-spirituale alla vita familiare: l’incontro moglie-marito a tre tappe

E’ interessante vedere il cammino di una coppia come avventura: dalla prima conoscenza, all’innamoramento, all’amore nel quotidiano del matrimonio… Si può rileggere questo percorso con la metafora del viaggio : un viaggio come itinerario di crescita e con intoppi nel cammino, viaggio che prevede fughe dal reale, illusioni e poi delusioni inevitabili. “Il fantastico ideale-sogno-desiderio del “principe azzurro” o della “fata turchina” (…) non consente un reale itinerario costruttivo, ma è causa di profonde lacerazioni e delusioni quando, come è inevitabile, ci si impatta con una realtà fatta di tutte le ingiurie delle limitatezze umane, di tutte le difficoltà dell’esperienza quotidiana scandita da problemi economici, da difficoltà relazionali, da insufficienze comunicative, da stanchezze invincibili, da meschinità sempre presenti.”
Un autentico viaggio, che sia itinerario di scoperta e cammino verso una meta, esige alcune disposizioni:
* Essere disponibili a lasciare le antiche sicurezze: il distacco fa parte della dialettica dell’amore.
* Accettare di vivere una situazione di continua precarietà, perché ciò a cui si va incontro è ignoto e imprevedibile. Oggi i coniugi devono giornalmente inventare modalità relazionali che portino a nuovi equilibri tra due persone che vorrebbero essere uguali e che si sperimentano sempre di più come differenti.
* Portare con sé solo l’essenziale: si tratta di tendere a realizzare ciò che è fondamentale per raggiungere la meta senza farsi appesantire dal troppo e dal superfluo.
Il progresso spirituale nel matrimonio, come ogni progresso umano, conosce delle tappe e dei passaggi obbligati di purificazione per aprirsi ad un amore più maturo e ad una disponibilità sempre più grande.

Se si volesse descrivere con una formula il percorso globale della crescita spirituale di chi tenta di seguire il Cristo più da vicino, si potrebbe dire che essa va sempre dalla santità desiderata alla povertà offerta : se questo è vero a livello personale, è anche vero nel cammino della coppia cristiana.

Tappa 1: la “santità desiderata” emerge dai grandi ideali del fidanzamento e dei primi tempi di matrimonio. All’inizio della conoscenza reciproca, i due di solito vivono l’appassionante esperienza dell’innamoramento: si vede solo il positivo dell’altro/a (per il processo di idealizzazione), e se i difetti emergono, si ha una grande fiducia nel saperli sopportare o la tacita aspettativa che l’altro poi cambierà (anche per proprio merito ed intervento). Nell’esperienza di credenti, si crede (a volte forse in modo troppo magico) nella forza trasformante della Grazia, tramite i sacramenti e in particolare tramite quello del matrimonio. Grandi ideali si fanno via via spazio: saremo una coppia diversa, il nostro amore crescerà sempre di più, faremo una famiglia aperta alle necessità di altri che hanno meno di noi, pregheremo insieme, faremo ferie alternative, vivremo nella sobrietà contro la società consumistica, vivremo nella solidarietà e nella condivisione… All’inizio più forte è la generosità, la disponibilità all’accettazione reciproca.

Tappa 2: la prova del reale. La banalità dell’amore nel quotidiano apre alla delusione: di se stessi, nei confronti del proprio partner, della vita matrimoniale in sé… Il “terribile” quotidiano fa cadere poco per volta molti sogni e desideri, molti ideali creduti e anche amati. Qualche esempio:
* Emerge l’esperienza della solitudine: “credevo che l’altro/a mi capisse, colmasse il mio vuoto”… “di fronte a quel fatto doloroso che abbiamo vissuto, mi sono sentita/o sola/o: non sapevamo che cosa dirci!”
* Vivere accanto ogni giorno fa scoprire i difetti propri e dell’altro/a: “non credevo che fosse così!”    “Non mi sembra più lei/lui!!”
* Più passa il tempo, anche quelle caratteristiche che avevano attratto all’inizio, vengono vissute male: “Mio marito parla così poco e pensare che mi era piaciuto all’inizio il suo essere silenzioso!” “Mia moglie mi assale con le sue reazioni emotive, eppure quando l’ho conosciuta mi piaceva tanto il suo essere così spontanea!”
* “Il quotidiano ci assorbe talmente, che è difficile trovare spazi per riflettere insieme, per pregare…quando poi li troviamo, ci sentiamo in difficoltà, quasi  la vergogna e pudore ad esprimere all’altro/a ciò che viviamo nel profondo o la propria preghiera personale”.
* L’arrivo dei figli destabilizza: “tutta l’attenzione è per loro…è così difficile trovare spazi per noi e quando li abbiamo, siamo così stanchi che dormiamo”.
* “Riuscivamo a fare qualcosa per gli altri di più prima del matrimonio; è così difficile ora”.
* “I figli sono diventati grandi, ci sentiamo molto meno utili di prima, cominciamo a chiederci che cosa abbiamo costruito, che cosa abbiamo seminato in loro…è facile colpevolizzarci a vicenda”. In questa nuova fase può capitare che lui o lei incontri un’altra/un altro, magari al lavoro o allo stesso gruppo di appartenenza, che colpisce particolarmente, che fa sentire ancora giovani, ci si può allora innamorare, con un’esperienza di confusione forte, di crisi e di frattura interna…
* Sia lui che lei scoprono in se stessi delle debolezze e fragilità che non immaginavano.
Tutte queste esperienze possono convivere con momenti più positivi e belli, vissuti sia nella coppia che coi figli.
In questa fase del matrimonio si tocca con mano l’ambivalenza e l’ambiguità che c’è in ciascuno e la caratteristica di dialettica di cui parlavamo prima. E’ a questo punto che può infiltrarsi l’amarezza e il risentimento, che portano facilmente allo scoraggiamento, per alcuni addirittura a chiedersi se non hanno sbagliato strada o scelta del partner…“Abbiamo sognato, ci siamo sbagliati, dobbiamo riconoscerlo umilmente, non guardare più le vette che non sono alla nostra portata ed accontentarci di gestire meglio le nostre debolezze e le nostre fragilità, ormai ben conosciute!”. Non è forse questo l’atteggiamento quando l’età, l’esperienza, le prove della vita conducono ad una visione più realista dei limiti personali, di coppia e di famiglia?
Verità è che in questa tappa si scopre quella dose di illusione che abitava la prima, una sufficienza mascherata di cui era necessario prendere coscienza. Proprio mentre noi sognavamo di diventare, se non dei santi, almeno dei cristiani e una coppia presentabile, era tutto fermo: il nostro atteggiamento interiore restava quello del fariseo del Vangelo e la nostra preghiera, con altre parole, era identica alla sua. Spesso il Signore permette che il peccato ci apra gli occhi: un’infedeltà più forte, un ripiegamento egoista nell’illusione di amare l’altro/a, uno sbaglio nell’educazione dei figli… rompono in questa fase la precedente immagine troppo positiva che ci eravamo costruiti di noi stessi, della nostra coppia e famiglia.

Tappa 3: la “seconda chiamata” . La misericordia di Dio ci aspetta propprio qui: se noi sappiamo accogliere umilmente la rivelazione della nostra fragilità, la tenerezza di Dio ci apre degli orizzonti più belli dei nostri sogni. Non saremo mai quella coppia aperta, disponibile, generosa, altruista che avevamo sognato di essere, ma possiamo diventare insieme quei poveri che non hanno altro da offrire a Dio che le loro mani vuote. Allora tutto diventa possibile.
Per quanto dolorosa e faticosa possa essere la presa di coscienza dei limiti, la grazia ci chiama ad altro che ad una cupa rassegnazione, che presto può trasformarsi in risentimento contro un Dio che aveva messo nel cuore di entrambi dei desideri così belli e grandi! Ma Dio non ci ha affatto abbandonato: è più presente che mai alla nostra prova, sperando di potersi finalmente rivelare a noi come Colui che è la beatitudine dei poveri. Dipende solo da noi accoglierlo, accogliendo la nostra povertà come una grazia.
P. Voillaume chiama questa tappa “la seconda chiamata”: la possiamo ritrovare sia a livello personale che di coppia. E’ la chiamata a scoprire la tenerezza e la gratuità dell’amore di Dio per quei peccatori che siamo noi, chiamata ad accogliere la potenza dello Spirito che trionfa nella nostra debolezza: è il momento allora in cui sono chiamato a riscegliere mio marito, mia moglie…io, povero e peccatore, scelgo di nuovo l’altro /a anche lei/lui povero/a e peccatore! La stessa cosa è avvenuta a Pietro dopo il tradimento: è proprio nel momento in cui non può dire più nulla, né nulla promettere che Cristo gli riconferma la missione e lo chiama nuovamente a seguirlo. Dinanzi a questa “seconda” chiamata, Pietro scopre che non è più tenuto ad essere quel discepolo che aveva sognato di essere, che sarà condotto ormai da un Altro e che è bene così. Scoprire i limiti propri, di coppia e di famiglia, il peccato radicato in ciascuno, può essere una prova, ma nel perdono di Dio, per noi come per Pietro, è una grazia impagabile!
Vivere nella prospettiva della “seconda chiamata” rende nuovo il proprio matrimonio, nella linea della frase biblica: “Io faccio nuove tutte le cose!”. Insieme si può ricercare il Regno di Dio rispondendo a ciò che la vita concreta, giorno per giorno , riserva: è ancora importante sognare, essere presi da grandi ideali, ma ormai questi saranno strettamente collegati alle fragilità, debolezze e reali possibilità di ciascuno, dando uno spessore più realistico agli stessi sogni e desideri. In particolare, sarà più viva la consapevolezza che l’attuazione di sogni, desideri e ideali è possibile solo se ne riceviamo la capacità come dono dal Signore e dal suo Spirito!
A questo punto, sorge un interrogativo: attraverso quali vie è possibile fare quel cammino?
* La rilettura della vita sotto lo sguardo di Dio. Se troppo spesso non progrediamo nella via spirituale è perché viviamo il quotidiano in modo ripetitivo. Attendiamo l’eccezionale e a volte ce la prendiamo con Dio che non ce lo manda, mentre è nel banale che Dio ci aspetta, che si presenta alle nostre esistenze, con una presenza umile e discreta che dobbiamo imparare a riconoscere. I medesimi appelli, le medesime esigenze d’amore sono là nelle nostra vita di coppia e di famiglia, giorno dopo giorno e ancora una volta dobbiamo imparare a riconoscerle. Rileggendo la nostra vita, lo scopriamo presente là dove non lo attendevamo affatto, “Dio era là e io non lo sapevo”, dice Giacobbe nel libro della Genesi. Allora il quotidiano che pareva banale assume una dimensione nuova. La vita, se sappiamo accoglierla con spirito evangelico, ci spoglia, nella sua monotonia, della nostra sufficienza e delle nostre illusioni. Ci rivela anche la forza della speranza proprio quando non ha altro sostegno che la fede, la forza dell’amore, proprio quando lo si vuole gratuito e disinteressato. Ci insegna a cercare dei segni là dove essi sono, nascosti nel seme che cade in terra e muore, nel lievito nascosto. Può essere un momento importante per la coppia e per la famiglia, quello di rileggere insieme alcuni fatti vissuti insieme come messaggio di Dio, “fare memoria” di ciò che il Signore sta operando nella propria vita concreta di coppia e di famiglia.
* La preghiera nella sequela di Cristo. Occorre trovare una forma di preghiera che vada bene per la propria vita di coppia e di famiglia, ma soprattutto che sia realista con il ritmo di vita nel proprio quotidiano di coppia e di famiglia. Conosco una coppia che aveva escogitato questo modo semplice: la sera erano abituati a preparare già la tavola per la colazione del mattino, sopra ad una tazza mettevano il Vangelo. Mentre il marito la mattina dopo scaldava il latte, la moglie leggeva qualche versetto del Vangelo. Poi entrambi potevano ripensarci mentre andavano al lavoro. Occorre avere creatività nel trovare il proprio modo possibile di preghiera quotidiana! Anche in questo modo si può rinnovare il proprio matrimonio cristiano.
* La vita ecclesiale. Può essere la vita all’interno di una parrocchia o di un gruppo o di un movimento ecclesiale. Anche questa esperienza può diventare un cammino di autentica povertà: il reale ci spoglia dei nostri sogni anche qui, per aprirci al Cristo presente dove due o tre sono riuniti nel suo nome.
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