Il formatore di seminario e lo psicologo


Editoriale
Tredimensioni 3(2006) 3, 228-231


 

Sempre più frequentemente si verifica la richiesta di una consultazione dello psicologo da parte del formatore o del padre spirituale durante l’iter formativo dei seminaristi, o perché si sono verificate difficoltà o incertezze, o perché talora i formatori, avendo acquisito anche il parere di uno psicologo, sembrano sentirsi più sicuri prima di prendere la decisione di ammettere o non ammettere agli ordini sacri.

Siamo tutti consapevoli che il cammino verso la maturità è oggi più laborioso che in passato a causa di molti fattori (familiari, sociali, culturali…) e che l’adolescenza si prolunga ben oltre i vent’anni, spostando molto in avanti l’età della scelta definitiva. Non è raro, quindi, che il giovane studente già avanti nello studio della teologia, per quanto ben intenzi-onato, sia ancora molto incerto sulla scelta vocazionale da fare.

L’insicurezza dei formatori di fronte alle problematiche dei seminaristi può, più o meno consapevolmente, portarli a cercare l’appoggio degli specialisti, dai quali sentirsi confortati e sostenuti, ma talora si può anche verificare una qualche forma di delega di decisioni che per sé competono soltanto a loro. Quando si verifica ciò, il corretto rapporto di collaborazione nella formazione viene alterato e lo psicologo rischia di diventare, impropriamente, colui che alla fine opera il discernimento vocazionale.


La competenza della sintesi
Ciò pone, in primo luogo, il problema di un’adeguata preparazione dei formatori, sia nel campo spirituale che nel campo della formazione più in generale . Bisogna certamente investire di più nel preparare i formatori, almeno in modo analogo a quanto si investe nella preparazione dei docenti dei nostri seminari. Sulla necessità di una migliore formazione dei formatori è intervenuta con un suo documento la Congregazione per l’educazione cattolica .

Minor competenza significa minor sicurezza e rischio di dipendenza impropria da figure che si presuppongono competenti senza, però, aver chiarito il loro ruolo e contributo nella formazione. Ovviamente, il formatore non può essere competente in tutto, però dovrebbe avere la competenza della sintesi dei diversi ambiti del processo formativo che non può mai essere unidimensionale.

A prescindere, in questo contesto, dal tipo di antropologia che ispira lo psicologo a cui si fa ricorso per la consultazione, mai si può identificare la diagnosi psicologica con il dis-cernimento vocazionale.

Il discernimento vocazionale tiene anche conto degli elementi di maturità umana, che la Pastores dabo vobis (= PdV) al n. 43 indica come il fondamento dell’intera formazione al sacerdozio. In ciò lo psicologo può dare un contributo importante, senza per questo adottare il criterio di una impossibile perfezione psicologica. Sappiamo molto bene che non basta sapere che il candidato prega intensamente, se poi la sua personalità umana è segnata da gravissimi limiti di struttura, identità o carattere, tali da incidere in modo profondo sul suo futuro ministero, sulla perseveranza in esso o sulle relazioni che questo richiede.

Ma il discernimento, per giungere a un’adeguata sintesi, tiene presenti in modo imprescindibile anche altri criteri fondamentali, quail la dimensione spirituale e pastorale della vita del futuro presbitero, per la quale è richiesta anche la necessaria preparazione culturale-teologica.

Il discernimento definitivo è il risultato di una valutazione sintetica delle varie dimensioni della formazione (umana, culturale, spirituale e pastorale), considerate non separate tra loro bensì nella loro integrazione, così come richiesto molto chiaramente anche dalla Pastores dabo vobis.


Secondo il criterio della carità pastorale
Il documento La Formazione dei Presbiteri della Conferenza Episcopale Italiana afferma: «Tutta la pedagogia seminaristica in quanto mira a conformare i futuri presbiteri a Cristo-Pastore ha un carattere essenzialmente pastorale. La vita comunitaria, la formazione spirituale e lo stesso impegno culturale nella scuola si configurano secondo tale esigenza» . Nel candidato al presbiterato deve formarsi il Cristo capo, pastore e sposo della sua Chiesa: egli «è chiamato, pertanto, nella sua vita spirituale a rivivere l’amore di Cristo sposo nei riguardi della Chiesa sposa […] Il principio interiore, la virtù che anima e guida la vita spirituale del presbitero in quanto configurato a Cristo capo e pastore è la carità pastorale, parteci-pazione della stessa carità pastorale di Gesù Cristo» .

La carità pastorale è, quindi, la meta della formazione presbiterale; essa richiede l’armonia delle diverse dimensioni della formazione, da cui soltanto scaturisce una personalità sacerdotale armonica ed equilibrata .

Tutto ciò comporta che nella formazione seminaristica convergano figure diverse, tra cui, se necessario come aiuto nel processo di crescita del candidato al presbiterato, anche lo psicologo, ma nessuna delle quattro dimensioni di una integrale formazione al presbiterato indicate dalla Pastores dabo vobis può essere presa in considerazione da sola.

Si tratta allora di adottare prospettive e approcci che favoriscano un’effettiva proficua collaborazione tra formatore e psicologo (così come tra formatore e altre figure che entrano nel processo formativo del seminario), sia nel processo formativo sia nel discernimento vocazionale, sempre nel pieno rispetto dei ruoli e del servizio ecclesiale che compete a ciascuno.


Il referente ultimo
Spetta solo al formatore incaricato dal vescovo, cioè il rettore del seminario e, ultimamente, solo al vescovo stesso, il discernimento definitivo sull’ammissione o meno agli ordini. Questo compito non è delegabile ad altri. È sua responsabilità ponderare i vari elementi in suo possesso (tra i quali l’eventuale relazione dello psicologo, se resa disponibile dal candidato), alla luce della carità pastorale a cui il candidato si sente chiamato e a cui è destinato nel ministero. Essa sarà il nutrimento della sua vita spirituale in futuro e la motivazione per l’azione pastorale che gli verrà affidata.

Tutto ciò non significa svalutare le competenze proprie dello psicologo, né il ruolo importante che può avere nell’accompagnare verso la maturità umana. Significa avere chiaro che la sua prospettiva è parziale e da sola non sufficiente per un adeguato discernimento.

Una cosa è ricorrere allo psicologo per un aiuto nel cammino di maturazione del candidato che deve affrontare alcune sue fragilità, altro è ricorrervi perché sia lo psicologo a decidere del successivo cammino vocazionale del candidato stesso.

Le complesse problematiche connesse a un corretto apporto dello psicologo nella formazione non possono ancora dirsi completamente chiarite nella prassi dei nostri seminari e sono certamente meritevoli di attenta considerazione e ulteriori approfondimenti .

Alcuni elementi fondamentali sono già stati forniti dalla Commissione Episcopale per il Clero della CEI nel capitolo primo della Nota Linee comuni per la vita dei nostri seminari (25-4-1999), ma, dato il fatto che la problematica non riguarda solo l’Italia, sarebbe auspica-bile qualche direttiva più specifica della Congregazione per l’educazione cattolica, peraltro già annunciata nel 2003 dal santo padre nell’udienza alla plenaria della stessa Congregazione.

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